Mali estremi: sono i mali che,dalla nascita alla morte, muovono l’uomo a spingersi oltre i propri limiti, a sfidarsi in atti eroici e perversi verso i limiti dell’ autodistruzione e dunque, a entrare in una lotta con sè stesso, tra sopravvivenza e onnipotenza e infine evoluzione.
Nelle cinque serate della rassegna, abbiamo attraversato l’età dell’adolescenza con Opera Omnia 2 Disco di Teatro Magro, assaporando la lotta per l’identificazione come esplosione di vita, poi con Creaturamia di Marianna Esposito, della Compagnia Teatring, abbiamo vissuto la più tragica delle gioventù fatta di pericoli e droga, magre consolazioni e facili vie di fuga, motore di scelte drastiche raccontate da una madre determinata e potente. Il viaggio è continuato con Orti insorti di Elena Guerrini, personaggio alla ricerca di un equilibrio, tipico dell’età adulta, che ritrova nel conformismo, nella tradizione, nei vecchi modelli, una sicurezza, una stabilità, senza però rinunciare a rivisitarsi, grazie a un pizzico di sovversione che crea evoluzione.
É poi giunto il momento in cui la maturità rende palpabile lo stato solitudine che affligge ogni essere umano: La Molli. Divertimento alle spalle di Joyce, di Arianna Scommegna e Gabriele Vacis,  ha visto protagonista un personaggio femminile colto nella disperazione di un sentimento d’amore procrastinato a senso unico, consapevole e folle allo stesso tempo. A conclusione del nostro viaggio, siamo entrati nel mezzo della relazione fra due individui che lottano fra loro per la conquista di uno spazio, quello della pista da ballo, e che nella lotta esprimono bellezza, Behind the dancers di Sinonimia è un movimento inesorabile che promuove l’umano da semplice passante sulla terra a fonte di preziosissima energia. Lo spettacolo si è ispirato alle opere di Rossana Capasso, esposte per tutta la durata della rassegna presso il Centro Culturale Zavattini Luzzara. Durante gli appuntamenti della rassegna, è stato possibile osservare le opere di Rossana Capasso proiettate all’interno del Teatro Sociale di Luzzara, ponte ideale tra luoghi simbolo di cultura della cittadina emiliana. Dopo lo spettacolo in Piazza Tedeschi,la splendida esibizione dei maestri argentini Laura Rusconi e Mario Bournissen, ha infiammato con la loro milonga la pista da tango allestita per lo spettacolo in collaborazione con l’Associazione Culturale La Maga e Ros Tangodj Capasso.

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A Luzzara, in concomitanza del 50° anniversario della pubblicazione di Straparole, uscito il 24 maggio 1967, è andato in scena ZA | NOTTI E NOTTI DAVANTI A UN RICORDO. Letture, esclamazioni, silenzi e altre meraviglie, ovvero una serie di itinerari ispirati da Cesare Zavattini. Sabato 27 maggio si è dipanato un itinerario legato ai luoghi di Luzzara in cui Cesare Zavattini ha vissuto e di cui ha emblematicamente scritto: dalla casa natale, dove la famiglia gestiva il celebre “Caffè Zavattini”, ai portici tanto amati, alla piazza del mercato, con i bar e i luoghi di ritrovo della gente del paese,  passando per la torre e per vicolo Strand, dove si trova l’antico teatro di Luzzara. Luoghi iconici non solo perché descritti nelle opere zavattiniane, di cui si sono proposte letture nel corso dell’itinerario, ma anche perché immortalati dai celebri scatti di Paul Strand, autore insieme a Zavattini di Un paese (Einaudi, 1955), di sua moglie Hazel Kingsbury Strand, di Gianni Berengo Gardin, che realizzò con l’aiuto di Zavattini Un paese vent’anni dopo (Einaudi, 1976), e di molti altri importanti fotografi. 
Un itinerario scandito dalle parole di Cesare Zavattini e dal fascino del paese al tramonto, che è proseguito con l’arrivo dell’oscurità sulle rive del Po, luogo prediletto dallo scrittore e scenario rievocato in numerose pagine della sua produzione letteraria, concludendosi in un luogo mitico della cucina padana, frequentato e amato da Cesare Zavattini: il Ristorante Nizzoli di Villastrada di Dosolo. A tavola con Za è stata l’occasione per degustare il celebre menu zavattiniano dedicato dal Cav. Arneo Nizzoli all’amico Cesare. In un’atmosfera rilassata e conviviale, prima e durante la cena si sono proposte storie, aneddoti e letture legati alla produzione artistica e alla figura di Za.

Domenica 28 maggio si è svolta l’iniziativa Luzzara, Un Paese. La storia e l’eredità. Itinerario sui luoghi della fotografia. Una visita guidata con Paolo Barbaro, Responsabile Archivi Sezione Fotografia, CSAC – Università degli Studi di Parma, alla scoperta dei luoghi resi celebri dagli scatti dei grandi fotografi passati per Luzzara, primo fra tutti Paul Strand, con lo scopo di sollecitare l’osservatore ad una considerazione sul rapporto fra memoria e futuro, anche grazie alla lettura di quei testi di Zavattini, che da sempre completano le opere fotografiche realizzate dai maestri da lui condotti, direttamente o per ispirazione, nell’amata Luzzara. Fondazione Un Paese deve infatti il suo nome al risultato della collaborazione intercorsa dal 1953 al 1955 tra Cesare Zavattini e il grande fotografo americano Paul Strand. Con Un paese, libro fotografico dedicato a Luzzara, ai suoi abitanti e ai suoi luoghi, i due intellettuali realizzarono una sintesi di film e libro che si propose di presentare in pagine fotografiche e di testimonianza scritta l’esperienza di quel nuovo contatto con la realtà conquistato dall’arte cinematografica italiana di quegli anni.
Principale intenzione degli autori era infatti quella di rappresentare il piccolo paese della bassa reggiana come lo specchio dello spirito di un popolo e del ritmo universale della vita legata alla terra. In questo lavoro la necessità di illustrare e omaggiare Luzzara, e di rilevarne la più intima essenza, è soddisfatta dai ritratti realizzati da Strand che documentano in maniera perfetta una collettività umana abituata a sopportare, a lottare e a cooperare, la bellezza della terra e le metafore della quotidianità ad essa legate. Allo stesso tempo, l’obiettivo dell’opera era anche quello di raggiungere, attraverso le essenziali auto presentazioni dei personaggi fotografati, una sintesi tra immagine e parola.
Questo riconosciuto capolavoro ha aperto in seguito la strada a personalità del panorama fotografico come Gianni Berengo Gardin, che sempre insieme a Zavattini realizzò Un paese vent’anni dopo, Olivo Barbieri, Stephen Shore, Luigi Ghirri e Paolo Costantini; e ancora Marcello Grassi e Fabrizio Orsi conLuzzara. Cinquant’anni e più…,  fino a giungere a Vittore Fossati: un percorso e una storia che hanno contribuito a fare di Luzzara uno dei “luoghi” per eccellenza della fotografia italiana. 
La mostra di Reggio Emilia “Paul Strand e Cesare Zavattini, Un Paese. La storia e l’eredità”, nonché l’intera manifestazione di Fotografia Europea 2017, hanno costituito per Luzzara un’occasione ideale per mostrarsi e mostrare quanto, ancora oggi, il paese rappresenti un punto di riferimento per una riflessione sulla fotografia contemporanea e sull’eredità storica consegnataci dai grandi del passato. 

Come ANTEPRIMA della rassegna, venerdì 26 e martedì 30 maggio è stato proposto alle classi quinte della scuola primaria di Luzzara il programma didattico: HO ATTRAVERSATO LA PIAZZA FINGENDO DI ESSERE… ZA! Alla scoperta dei luoghi della vita e delle opere di Cesare Zavattini. Il percorso didattico ha offerto agli alunni delle classi quinte la possibilità di proseguire l’approfondimento sulla figura di Cesare Zavattini iniziato durante l’anno scolastico in corso con il laboratorio di cinema “Dal libro al film”. L’obiettivo è stato quello di far comprendere ai ragazzi il profondo legame di Zavattini con la propria terra e in particolare con il paese natale, Luzzara.
L’itinerario didattico, con punto di partenza dalla casa dello scrittore,  ha previsto una visita guidata ai luoghi di Luzzara importanti per Zavattini, intervallata da letture di sue opere (in particolare da Straparole e da Un Paese) in cui emerge un significativo ritratto del paese.
Il percorso ha toccato alcuni dei punti più importanti del centro storico luzzarese, tra cui la casa di Zavattini, il bar di famiglia, i portici, la piazza, la torre e il teatro, dove i bambini hanno messo in scena sketch in cui hanno finto, per un giorno, di essere “Za”!

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Cesare Zavattini, conosciuto principalmente come sceneggiatore del grande cinema italiano e il cui archivio è custodito presso la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, è stato anche, prima, durante e dopo l’esperienza del cinema neorealista, giornalista, narratore e poeta, oltre che pittore, regista ed editor. «Zavattini e’ vissuto a Milano e a Roma; ha girato tutto il mondo: ma non si è mai, sostanzialmente, allontanato da Luzzara. Vi tornava ogni anno, per qualche settimana o qualche mese: ci scappava appena poteva. E anche per questo lo invidio», scriveva l’amico e grande intellettuale Mario Soldati con l’intento di sottolineare quanto Luzzara, piccolo paese della Bassa, fosse un microcosmo che non aveva segreti per Za, o meglio, che li aveva tutti: «sì, tutti i segreti affascinanti, che lui non scoprirà mai fino in fondo ma che sa che esistono, sul carattere e sulla vita di un numero relativamente straordinario di persone». Zavattini che, sempre secondo Soldati, aveva la fortuna impareggiabile di amare l’intera umanità più profondamente di quanto possono amarla coloro che erano nati e cresciuti in una grande città.

Ad inaugurare le iniziative zavattiniane, da martedì 20 settembre, è stata la mostra IL CURIOSO DELLE IMMAGINI: Zavattini a Luzzara, 1973, esposizione di 21 scatti di Gianni Berengo Gardin, realizzati a Luzzara nel 1973, prima di far nascere quel progetto che sarebbe diventato il libro fotografico Un paese vent’anni dopo (Einaudi, 1976). Le fotografie, raccolte per la prima volta in una agile pubblicazione del 1991 curata da Lorenzo Pellizzari (Franco Sciardelli editore), mettono in mostra uno Zavattini privato, che si aggira per la sua Luzzara: “Mago e patriarca, illusionista e contadino, membro esibizionista e concreto della comunità, non si è mai visto nessuno a proprio agio come questo Zavattini”, ritratto tra spettacoli di marionette, sul set di un film che avrebbe voluto girare in un’osteria del paese ma mai realizzato (L’ultima cena), per le vie del centro in bicicletta, o a piedi, seguendo il carrettiere con il letto dei genitori appena recuperato da un rigattiere. La collezione delle fotografie di Gianni Berengo Gardin è stata gentilmente concessa dall’Archivio Cesare Zavattini di Reggio Emilia.

La mostra delle fotografie negli spazi della biblioteca, si è inserita nel più ampio cartellone di progetti espositivi organizzati periodicamente dal Centro Culturale Zavattini. Sempre per il percorso IMMAGINE | Luzzara, la fotografia, si è svolto un evento speciale giovedì 13 ottobre alle ore 21.15, ovvero l’incontro con il fotografo Olivo Barbieri, oggi uno dei nomi più significativi della fotografia italiana, con mostre organizzate in tutti i più importanti musei che si occupano di fotografia nel mondo. Il 26 ottobre 1996 uscì sulla risvista “Specchio” il servizio Luzzara, 40 anni ma sembra ieri, una riflessione su Luzzara a quarant’anni dal progetto di Un paese di Strand-Zavattini e a venti dal lavoro di Gianni Berengo Gardin. Le fotografie erano appunto di Barbieri, già noto al tempo e pronto a misurarsi con gli illustri predecessori. A distanza di vent’anni esatti, continuando in quel ritorno sui luoghi che ha fatto di Luzzara uno dei simboli della fotografia mondiale, siamo stati lieti di ospitarlo in un incontro, condotto da Laura Gasparini della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, in cui si è parlato delle prospettive e della potenza delle immagini.
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A completare la proposta che riflette sulla fotografia, sabato 8 e domenica 9 ottobre il Centro Culturale Zavattini ha proposto tre Workshop fotografici con il fotografo americano David Maialetti, fotoreporter e giornalista di Philadelphia, che lavora per il The Philadelphia Inquirer, il Philadelphia Daily News e il sito Philly.com. Nel 2013, in preparazione della grande mostra antologica dedicata all’opera di Paul Strand, Paul Strand: Master of Modern Photography, è stato incaricato di realizzare un reportage sul lavoro di Strand a Luzzara, soggetto del capolavoro Un paese realizzato con Zavattini. Attivo su Instagram, che con oltre 150 milioni di utenti e una media di 55 milioni di foto caricate al giorno è la più popolare app di photosharing, Maialetti nel 2013 è stato segnalato da Forbes tra i 10 instagrammers più influenti del pianeta, il suo account di Instagram @maialetti ha più di 47.000 seguaci.
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Per il percorso CINEMA, sono state due le proiezioni in programma: giovedì 22 settembre, ha avuto luogo l’appuntamento con il documentario Cesare Zavattini di Carlo Lizzani (Felix film, 2003), realizzato in collaborazione con l’Archivio Cesare Zavattini e la Regione Emilia Romagna in occasione del centenario della nascita di Cesare Zavattini e presentato alla 60ma Mostra del Cinema di Venezia. Lizzani racconta Zavattini nella sua poliedrica attività di scrittore, pittore, direttore editoriale, operatore culturale e cineasta: un documentario che accosta testimonianze dirette e sequenze dei suoi film. Un ritratto che ricostruisce inoltre la storia del cinema italiano dagli anni ’30 agli anni ’70, evidenziando anche, della stagione neorealista, quella coesistenza del fantastico che non fu peculiarità esclusiva del sodalizio De Sica-Zavattini.
Una settimana dopo, giovedì 29 settembre, è stata la volta della proiezione del film Il tetto di Vittorio De Sica (1956) con soggetto e sceneggiatura di Cesare Zavattini. A sessant’anni esatti dalla sua uscita, abbiamo riproposto questo “piccolo” film a lungo sottovalutato dalla critica, proiettato all’epoca in anteprima nazionale proprio a Luzzara. Un’occasione per “risarcire” in qualche modo la pellicola, tra le più amate e volute da De Sica, che anche il festival di Cannes del 1956 “liquidò” in sordina col premio della critica cattolica. Eppure, racconta Manuel De Sica, figlio del regista: «Il tetto è stato l’ultimo ingenuo gesto di genialità di mio padre e Cesare Zavattini. L’ultimo film veramente sentito di De Sica. Dopo, vista l’aria che tirava in Italia, su cui soffiavano politici reazionari, contrari al fatto che i nostri schermi parlassero di povertà, di disoccupazione, di problemi per trovare una casa, decise di accettare offerte meno impegnative. Preferì fare l’attore in molti film, e dirigere storie meno dure. Persino La ciociara, che diede l’Oscar a Sofia Loren, lo concepì con la mano sinistra».

Due gli appuntamenti raccolti sotto il percorso ITINERARI. Per il primo, è stato organizzato un ritrovo in golena sabato 24 settembre, quando alle ore 17.30 viale Po è stato intitolato a Za, diventando così il nuovo VIALE CESARE ZAVATTINI. L’appuntamento è proseguito con un rinfresco presso La Baraca, una delle tipiche baracche sul Po, posta proprio sulla via Alzaia, alla curva 18, ossia quella parte di fiume che Zavattini amava tanto e che è così presente nei suoi scritti.
Mentre sabato 1 ottobre alle ore 17.30 il Centro Culturale Zavattini ha ospitato l’importante evento Il patrimonio del Fondo Cesare Zavattini: un viaggio nella cultura del Novecento, sempre iniziativa di ITINERARI nella quale è stato presentato il lavoro realizzato sul fondo librario donato da Cesare Zavattini per la creazione della Biblioteca di Luzzara. Ad un anno di distanza dall’inizio del lavoro di recupero e catalogazione di quella che è stata definita da Ienner Meletti «La biblioteca segreta» di Cesare Zavattini, composta da lasciti pregiati e primissime edizioni, ossia da quei «libri che per lui erano stati importanti» e che «voleva che la sua gente potesse avere la possibilità di leggere», sono stati finalmente rivelati al pubblico gli aspetti più interessanti del Fondo Cesare Zavattini di Luzzara.  I 3.426 volumi recuperati tra i tantissimi donati da Cesare Zavattini al proprio paese natale – in parte dispersi dopo la sua morte e riuniti solo attraverso un paziente lavoro di recupero e ricerca iniziato nel 2006 e portato avanti nel corso del tempo fino ai soddisfacenti risultati attuali – contengono dediche, autografi e in alcuni casi disegni dei maggiori protagonisti della cultura italiana e internazionale del Novecento: da Salvatore Quasimodo a Sibilla Aleramo,  passando per Attilio Bertolucci e Alberto Bevilacqua, arrivando a Italo Calvino, Beppe Fenoglio e Natalia Ginzburg, fino a Jacques Prevert e Claude Roy o Rafael Alberti, e poi ancora Umberto Eco, Mario Soldati, Tonino Guerra, Luigi Malerba, Gianni Toti, Valentino Bompiani e Alberto Mondadori, per citare solo alcuni nomi, nonché chiose e inedite riflessioni d’autore, scritte di proprio pugno dallo stesso Zavattini. L’incontro, condotto da Simone Terzi, Responsabile del Centro Culturale Zavattini di Luzzara e Coordinatore di Fondazione Un Paese, ha visto l’intervento introduttivo di Giordano Gasparini (Direttore della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia), e la relazione dalla dott.ssa Elena Lupi, che ha illustrato gli aspetti più interessanti del lavoro di catalogazione e recupero da lei condotto nell’ultimo anno sul Fondo Cesare Zavattini, accompagnandoli con letture e con la visone di filmati e immagini dei volumi.
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Non poteva inoltre mancare un appuntamento dedicato espressamente alla scrittura: venerdì 7 ottobre alle ore 21.15 ha avuto luogo l’incontro con Massimo Zamboni, musicista, cantautore, scrittore e fondatore, chitarrista e compositore del gruppo punk rock italiano CCCP Fedeli alla linea e dei CSI. In scena il reading in musica dal suo ultimo libro Anime galleggianti (La nave di Teseo, 2016) scritto a due mani con Vasco Brondi (Le luci della centrale elettrica). Due musicisti, una zattera e un canale che collega Mantova al Delta del Po. È così che ha inizio lo straordinario viaggio di Vasco Brondi e Massimo Zamboni «dalla pianura al mare, tagliando per i campi»: per una settimana Massimo, Vasco e Piergiorgio, il fotografo che li accompagna, navigano a una velocità massima di dieci chilometri l’ora le acque magiche e surreali del Tartaro Canalbianco, uno dei tanti canali che attraversano la pianura padana nella zona del Polesine. Gli argini del canale sono molto alti, la pianura è solo una proiezione, mentre le giornate scorrono tra pescatori, aironi, immigrati rumeni e cinesi, pesci siluro, chiuse, tralicci e soste in paesi minuscoli. In mezzo a questa “Amazzonia immaginaria” il paesaggio apre ai ricordi a nitide via di fuga, seguendo l’eco di coloro che della pianura hanno saputo narrare la malinconica bellezza – Zavattini, Celati, Ghirri – e intessendo un nuovo, universale, canto interiore. Due storie, anzi tre, e un viaggio a pochi chilometri da casa che si rivela la forma più pura di esplorazione, scoperta, incanto. A presentare l’incontro, lo scrittore mantovano Fabio Veneri.
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Un appuntamento che si inserisce nel percorso PAROLA | parliamo tanto di… così come l’ultimo imperdibile evento di sabato 15 ottobre, quando alle ore 18.30 si è chiusa la rassegna con Vito che davanti ad un Centro Culturale gremito, con Ricordando Za: viaggetto nell’universo Zavattini, ha proseguito idealmente quel suo percorso legato alla poetica della bassa e alla messa in scena di personaggi ispirati alla lunarietà, quelli descritti da Guareschi, Zavattini e Fellini. La poetica della bassa inaugurata con lo spettacolo Se perdo te è continuata con lavori di grande impegno e notevole successo quali Bertoldo, primo testo rappresentato a teatro da Giulio Cesare Croce, e Don Camillo di Guareschi con Ivano Marescotti, che hanno portato l’artista nei maggiori teatri d’Italia con grande successo di pubblico e critica; a seguire, Vito è stato il protagonista nel grande progetto di rappresentazione di Miracolo a Milano, di Zavattini, per la regia di Lorenzo Salveti, spettacolo portato in scena con grande successo. Dopo la messa in opera di Toni Ligabue (regia di Silvio Peroni) recitato in anteprima a Luzzara nel 2009, Vito è tornato a trovarci per parlare dell’amato Zavattini.

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“La camera dove lavoro, tre metri per tre, mi va bene e dovrei stare seduto al tavolo otto ore al giorno anziché non fare, fantasticando le gioie che ricaverei dal fare. Mi tengono compagnia la piccola ruota, incastrata nella finestrina, va per cambiare l’aria e un torrentello. Appena arrivato dissi a mia sorella non sopporterò questo rumore, ma alla fine della frase mi ero già abituato. Il torrentello fra poco entra nel Secchia e il Secchia dopo una notte in discesa entra con le sue trote e l’acqua stretta e nervosa nell’acqua grande e placida del Po che passa da Luzzara dove sono nato”.
Queste parole, scritte da Cesare Zavattini nel 1963 per Viaggetto sul Po, ci portano a Cerreto Alpi, borgo dell’Alto Appennino Reggiano che dista 100 chilometri dalla Luzzara, sul Po, paese natale di Za. In uno slargo di Cerreto si erge il monumento a Zavattini, molto semplice e minuscolo, eseguito da Remo Belletti scultore di Collagna. Su una pietra di arenaria a forma di parallelepipedo irregolarmente stagliata è collocato un sasso a forma d’uovo, da cui sporge a lato un volto reclinato e raccolto nel cavo di una mano. Alla base un grande ciotolone piatto sul quale sono debolmente incise le parole “Sa pudess stricarm’ in d’na parola a durmirés. ZA”.
Zavattini e Cerreto Alpi, come mai? Nel 1922, il giovane Cesare Zavattini è a Parma, dove aveva trovato occupazione come istitutore nel Convitto Maria Luigia e poi come redattore della Gazzetta di Parma. Un periodo molto importante per la sua formazione, favorito da uno stimolante ambiente culturale, alimentato dalle discussioni con i suoi allievi Attilio Bertolucci, Pietro Bianchi e Giovannino Guareschi, di poco più giovani di lui. Ma nel mese di luglio e agosto si reca ogni sabato a Cerreto Alpi, nell’alto Appennino reggiano, dove i suoi si sono trasferiti e dirigono l’Albergo Posta in località la Gabellina, dopo aver venduto per dissesto economico Caffè di Luzzara. Non disdegna di dare una mano nel servire i clienti e trova anche il tempo di andare a dorso di mulo sino a Minozzo, altra località appenninica, dove si trova in vacanza la sua ragazza Olga Berni, che sarà sua moglie. Nel 1924 muore il fratello minore Mario, seminarista quattordicenne, che è sepolto nel cimiterino di Cerreto Alpi. I genitori, Arturo e Ida Giovanardi, continuarono la gestione dell’albergo sino a quando, nel 1928, per una grave malattia del padre, dovettero rientrare a Luzzara, per condurre in affitto una modesta e meno impegnativa osteria che chiameranno proprio La Gabellina. Ma la sorella Tina resta a Cerreto Alpi, avendo sposato il cerretano Clemente Sentieri, abile calzolaio e consigliere comunale. Non ha mai voluto allontanarsi da questi luoghi. E lassù, ospite della sorella, Cesare veniva in cerca di quiete. Lungo e importante, il soggiorno del ’63, quando arriva nell’estate e resta fin quasi all’anno nuovo, a scrivere e a riordinare le carte di quello che sarà il libro Straparole. “Sono arrivato a Cerreto in collera col mondo; ero fisicamente da raccogliere col cucchiaio; mi domandavo se stavo male, tanto apparivo tetro e fermo. Un vecchio montanaro disse: che frana Z”, scrive in una delle numerose lettere.
Voltato verso il fuori, verso l’aperto, come disse Gianni Celati definendolo un “caso raro nella cosiddetta cultura italiana – cultura dei paraventi”, estroverso con impennate di timidezza. Un uomo estroso e ricettivo, uno spirito inquieto, dal perenne dinamismo, che proprio per questa sua vita sempre di corsa, dissestata da orari abnormi, dalla confusione fra notte e giorno, a volte, aveva bisogno di essere accudito dalle sue donne: la mamma Ida, la moglie Olga, da Tina, la sorella. E al Cerreto, quel luzzarese dagli occhi espressivi, sempre persi nella meraviglia, nella curiosità vorace, scoprì le mele tosche. Lo stomaco, messo a dura prova dalle mangiate sregolate, se lo curava infatti con una composta di mele tosche, un toccasana di cui avrebbe voluto brevettare ricetta e marchio doc. Verità o un’altra invenzione delle sue? In breve, ne parlò ad un servizio che andò in onda su TV7 e, dal giorno dopo, all’indirizzo della sorella iniziarono ad arrivare lettere da tutta Italia che chiedevano lumi per avere scorte di queste “mele miracolose”.

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Sempre alla fertile realtà della Bassa appartiene l’editore, LIBRE, una piccola casa editrice che si propone di “valorizzare la cultura delle bambine e dei bambini”. Il libro contiene, in appendice, Antonio chi? Quattro chiacchiere con Gian Luca Torelli, un’interessante conversazione tra Vitale e Torelli su alcuni aspetti del carattere di Antonio Ligabue.
Ligabue, convinto, come sostengono varie testimonianze, che il naso aquilino fosse un segno di nobiltà, di appartenenza a una stirpe entrata nella storia, non era certo scontento del suo naso; sarebbe sicuramente contento di tenere tra le mani questo libro, un segno tangibile di comprensione umana e di fraterna solidarietà verso un uomo cui Vitale mette in bocca queste parole di verità: qui dove vivo sono uno straniero (dalla “presentazione” di Sandro Parmiggiani). A seguire, lettura animata a cura di Gianluca Torelli e laboratorio ritratti allo specchio condotto da Giuseppe Vitale.

Proseguendo con gli eventi della rassegna, sabato 23 aprile alle ore 17.00 si è tenuto l’incontro, attesissimo e partecipato di PASÀ PO. Settanta racconti brevi di guerra e di Po, presentazione e letture del volume di Sandro Tedeschi, con le illustrazioni di Alessandro Sanna, del quale per l’occasione sono stati messi in mostra i disegni originali.
Pasà Po è un libro di settanta parole, settanta parole che sono come settanta piccoli vasi di pandora. La memoria ottantenne di Sandro Tedeschi, luzzarese che da anni vive a Mantova, li scoperchia e li lascia esplodere dentro racconti che sono mondi interi. A tenerli insieme in un’unica emozione è il gioco continuo tra forze opposte. Vecchiaia e giovinezza, guerra e comunità, fiume e terra: si incontrano in ogni aneddoto, si incrociano e sovrappongono, intrecciano storia.
Luzzara è il posto da cui tutto ha inizio. Un paese come tanti altri sul Po, ma dotato di un’intensità singolare. Luzzara rimane nel cuore dei suoi abitanti: non vogliono andarsene, o cercano costantemente di ritornare. L’unico modo che Sandro ha di ritornare è la memoria. Certo, tutti hanno memoria di certe cose in paese. Tutti ricordano l’arrivo degli americani, tutti conoscono il profumo delle robinie, tutti hanno ascoltato una partita dei mondiali al caffè in piazza. Ma Sandro a questo aggiunge la lontananza, che fa diventare la memoria più profonda e più insistente. Per Luzzara, certe notti diventano del tutto insonni e si passano a cercare di ritrovare il profumo di Po.
Pasà Po non ha fotografie dei tempi andati. Ha le illustrazioni contemporanee, vivide e delicate di Alessandro Sanna, un altro uomo di Po che conosce il profumo delle robinie, i cui ricordi però arrivano solo a pochi anni addietro, perché lui a Po è nato da poco. Vecchiaia e giovinezza. Le parole di chi ha un passato più lungo gli permettono di ricostruire per immagini quello di cui non può avere memoria. I suoi disegni tracciano il contorno di ogni racconto, creano lo spazio in cui ogni lontano ricordo diventa storia da rivivere. Questo secondo libro di Sandro Tedeschi, edito da Fondazione Un Paese a tre anni di distanza da quel Dizionario di Po e di robinie che aveva incantato tutti, è un viaggio nella memoria, diario scandito da parole che sono come ripostigli di segreti e di significati riposti, veicoli di racconti che sembrano provenire da lontananze mitiche, rassicuranti e spaventevoli ad un tempo.

L’ultimo appuntamento della rassegna, anche questo tutto esaurito, si è tenuto sabato 14 maggio alle ore 18.00 con L’ARTE DI VEDERE STORIE, incontro “per bambini e adulti dagli 8 anni in su” con lo scrittore e illustratore Massimiliano Tappari dedicato all’idea che le storie non abitano solo i libri ma sono in ogni oggetto e paesaggio con cui quotidianamente abbiamo a che fare:  dal post-it alla volta celeste. Si tratta solo di scovare i personaggi, immergerli in un ambiente e cucire un’azione con l’altra. Appuntamento imperdibile con un artista che ha saputo raccogliere, innovandola, la lezione del grande Bruno Munari in modo davvero originale e genuino. Tappari è l’autore di quel piccolo libro, Coffee Break – pubblicato dall’ottima casa editrice di Mantova, Corraini – nel quale è riuscito a raccontare una straordinaria avventura semplicemente fotografando i dettagli di una moka, che a seconda della prospettiva e delle dimensioni dà vita a oggetti, figure umane, persino paesaggi. In un altro libro, Oooh!, sono raccolte fotografie di ogni genere, raffiguranti oggetti comuni, case strade, ma tutte con una particolarità che stimola l’immaginazione, anche grazie alle fulminanti didascalie che le accompagnano… Irresistibile. Lettore dello spazio, Tappari realizza progetti per stimolare i bambini a usare la creatività e a cogliere il lato fantastico della vita quotidiana e dell’ambiente circostante. Conduce “workshop di stupore a km zero” in giro per l’Italia e racconta storie stravaganti con semplici oggetti attraverso una videocamera che si fa microscopio.

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La rassegna è stata inaugurata sabato 27 febbraio  con l’incontro, moderato da Simone Terzi, dal titolo PRECURSORI: Cesare Zavattini e Gianni Toti, incontro con lo scrittore e studioso di Zavattini Guido Conti e con Silvia Moretti, collaboratrice  e referente per La Casa Totiana di Roma.
La riflessione sui linguaggi e sulle forme del libro, la messa in discussione dei sentieri già battuti e la vocazione alla sperimentazione come modus operandi trovano in Italia alcuni illustri predecessori. Alla scoperta di Cesare Zavattini e Gianni Toti, due intellettuali di primo piano nel dibattito culturale del nostro Paese durante il dopoguerra e al contempo audaci cercatori di nuove forme espressive: scrittori visionari che, prima degli altri, hanno saputo essere multimediali cercando e creando nuove forme espressive capaci di integrare la parola, il video, la musica. Da quell’inclassificabile oggetto che è il Non libro più disco zavattiniano fino alla radicale avanguardia poetica ed elettronica della Poetronica di Gianni Toti, l’incontro con Guido Conti, membro del comitato scientifico dell’Archivio Zavattini, e Silvia Moretti, è stata l’occasione per mettere a fuoco gli aspetti più innovativi di questi due due creatori, noti ma al contempo spesso fraintesi, visionari ma che oggi, con la rapida evoluzione dei linguaggi determinati dalle nuove tecnologie, si possono a pieno titolo collocare alla stregua di precursori.

La rassegna è proseguita con l’evento moderato da Fabio Veneri di sabato 5 marzo intitolato PROTOTIPI, incontro con Letizia Sechi, social media manager del gruppo editoriale RCS libri ed esperta di editoria digitale. La domanda alla base del dibattito è stata: quale forma e quali contenuti possiamo pensare per il libro del futuro? Ecco allora e-book, digital storytelling e nuovi contenuti multimediali raccontati da un’esperta di editoria digitale. Le nuove tecnologie multimediali stanno cambiando sempre più le modalità comunicative e relazionali tra le persone e, allo stesso tempo, l’approccio ai contenuti culturali. A fronte di tali cambiamenti rapidi e continui, come stanno mutando il formato e il contenuti dei libri? Se da un lato emergono bisogni di lettura rinnovati legati alle nuove possibilità offerte dai nuovi dispositivi elettronici e dai social network, dall’altro si presenta una sfida inedita legata all’esplorazione delle potenzialità di tali strumenti in funzione della scrittura e dello storytelling. A partire dall’esperienza originale di Prototipi – laboratorio realizzato a Mantova durante Festivaletteratura 2015 inteso come spazio di sviluppo, collaudo e verifica di progetti per neo-libri – Letizia Sechi ha cercato di fare il punto sullo stato dell’arte e sugli scenari che riguardano questo ambito in costante tensione evolutiva e che coinvolge, al tempo, scrittori ed editor di contenuti, programmatori e graphic designer.

Ultimo evento della rassegna sabato 12 marzo con COSA SUCCEDE IN CITTÀ?, incontro moderato da entrambi i curatori, Simone Terzi e Fabio Veneri. Ci sono autori e realtà territoriali che mettono al centro della propria opera l’interesse per le potenzialità comunicative offerte dai nuovi strumenti digitali: due significative esperienze dalla provincia di Reggio Emilia. Tra questi, Graziano “Ciano” Marani, responsabile delle attività della Biblioteca “G. Einaudi” di Correggio, scrittore e musicista che nel tempo ha sviluppato una personale riflessione sull’utilizzo delle tecnologie all’interno dei flussi narrativi. Tra i suoi esiti, RAC- Racconti a colori che, secondo le parole dell’autore, “non è solo un libro da leggere, è pure un libro che ti legge”. D’altra parte, è significativa l’esperienza di Museum Reloaded di Reggio Emilia, un progetto di innovazione sociale che mette al centro gli studenti nella rielaborazione creativa del patrimonio culturale, grazie a percorsi educativi progettati in rete con scuole e musei. Diletta Pignedoli, responsabile del progetto, ha illustrato alcuni percorsi educativi svolti nelle scuole della provincia di Reggio Emilia, dove l’utilizzo consapevole di semplici mezzi tecnologici a supporto della didattica si è dimostrato utile per avvicinare gli studenti a opere di letteratura e pratiche di scrittura creativa e lettura espressiva.

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Proseguendo con gli eventi della rassegna, sabato 14 novembre alle ore 18.00 si è tenuta, presso il Centro Culturale Zavattini, la conversazione dal titolo LA NORMALITÀ NEGATA fra la scrittrice serba Gordana Grubac e il giovane e affermato regista bosniaco Ado Hasanovic. Moderato da Edvin Husovic e realizzato in collaborazione con l’ associazione Un bambino per amico, l’incontro ha avuto come motivo di dibattito il tema della necessità di costruire ponti di pace e di dialogo sui terreni di guerra.

Si è proseguito venerdì 20 novembre quando alle ore 21.00 è stato proiettato il film di Giuliano Bugani dal titolo IL SOLE CONTRO, documentario-inchiesta che vuole far luce sui fatti avvenuti il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia, ossia sulla decisione da parte dell’allora governo Tambroni (Democrazia Cristiana con l’appoggio esterno dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano) di sparare su una folla di manifestanti inermi uccidendo cinque operai: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Il sole contro riapre il dibattito su una delle tante stragi italiane sulle quali il segreto di Stato aveva per anni fatto calare il silenzio. Il documentario di Giuliano Bugani, attraverso le voci dei presenti in piazza quel giorno, degli avvocati difensori e dei familiari delle vittime, ricostruisce i fatti di Reggio. Non un episodio isolato, non un evento casuale, ma l’apice di una serie di provocazioni avvenute in altre città. Ad oggi, a 55 anni di distanza, non c’è ancora un colpevole. La strage è impunita. L’evento è stato realizzato in collaborazione con ANPI Luzzara. Alla proiezione è seguito un incontro con l’autore.

Quarto e ultimo appuntamento della rassegna, giovedì 26 novembre 2015 alle ore 21.00 si è tenuto il “filòs”, moderato da Simone Terzi, fra i componenti dell’Associazione “Noi di Luzzara” e incentrato su IL TEMA DEI TEMI… CESARE ZAVATTINI E LA PACE. Al dibattito è seguita la proiezione del film diretto e interpretato da Cesare Zavattini La Veritàaaa (1982). Come si legge dalle parole di Zavattini, per la conferenza stampa veneziana del film tenuta in occasione dell’apertura del festival: «La stessa parola PACE è tra quelle più consumate e meno realmente capite nella sua tragica quotidianità. Perciò bisogna imparare la “pace”, bisogna sapere la “pace”, cosa che si può ottenere soltanto con un pensiero che sia frutto della collaborazione di tutti e non di pochi, come adesso».

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Cesare Zavattini, conosciuto principalmente come sceneggiatore del grande cinema italiano e il cui archivio è custodito nella Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, è stato anche, prima durante e dopo il cinema, giornalista, narratore e poeta, oltre che pittore, regista e editor. “Zavattini é vissuto a Milano e a Roma; ha girato tutto il mondo: ma non si è mai, sostanzialmente, allontanato da Luzzara. Vi tornava ogni anno, per qualche settimana o qualche mese: ci scappava appena poteva. E anche per questo lo invidio”, scriveva l’amico e scrittore Mario Soldati. Luzzara, piccolo paese della Bassa che è un microcosmo che non aveva segreti per Za, o meglio, che li aveva tutti: “sì, tutti i segreti affascinanti, che lui non scoprirà mai fino in fondo ma che sa che esistono, sul carattere e sulla vita di un numero relativamente straordinario di persone”. Zavattini che, sempre secondo Soldati, aveva la fortuna impareggiabile di amare l’intera umanità più profondamente di quanto possono amarla coloro che erano nati e cresciuti in una grande città.
Si è partiti alla mattina, ritrovo alle 10.30 sotto i portici del Centro storico di Luzzara, con una passeggiata per le vie del paese in compagnia di Valentina Fortichiari e Simone Terzi: si è camminato per “i luoghi” del paese cari a Zavattini accompagnati dalle parole dedicate da Zavattini, nei propri testi, a Luzzara. Nell’occasione si è parlato anche del libro I giocattoli di Cesare Zavattini (Hacca edizioni) di recente pubblicazione.
Nel pomeriggio, alle 18.00 ha avuto luogo l’appuntamento con Gualtiero De Santi, che ha presentato il libro Ritratto di Zavattini scrittore (Imprimatur editore, 2015). Protagonista della cultura letteraria e cinematografica del Novecento, è scrittore originalissimo e, forse anche per questo, ancora in attesa di un risarcimento critico. (Co)stringere in una parola il genio di Zavattini è, prima che impossibile, ingiusto; oltrepassare il pregiudizio, secondo cui l’uomo di cinema ha offuscato quello di lettere, è un debito alla precisione. Zavattini ha sempre cercato le parole per farne prodigi e miracoli: parole che consentissero di rinvenire le radici e di «riudire rimbombi dell’infanzia», ma anche di dire la verità, quella veritàaaa che ha cercato nelle piccole e grandi realtà, attraverso la scrittura, il cinema, il teatro e la pittura. Il libro di Gualtiero De Santi recupera e analizza il percorso di scrittore, dagli esordi giornalistici agli ultimi libri sperimentali e d’avanguardia, attraverso quelli ‘umoristisci’, quelli fotografici e di poesia, accostandolo ad autori italiani (Pirandello e Pasolini, sopra a tutti) e, di necessità, a quelli europei, da Gómez de la Serna a Breton e ai surrealisti francesi, da Kafka a Brecht.
La giornata si è chiusa alle ore 21.00 con ANDOM PIAN PÜTEI… (Andiamo piano, ragazzi…) | A tavola con Za, cena con menù zavattiniano realizzata in collaborazione con il Ristorante “La Cantoniera SS62”, via Villa Superiore 30, Luzzara.

A completare la proposta zavattiniana, la mostra TORRI, FUNERALINI, ANGURIE e… IL FIUME, esposizione di opere pittoriche di Cesare Zavattini di proprietà dei Musei Civici di Reggio Emilia. Le opere sono state esposte negli spazi del Centro Culturale Zavattini dal 19 settembre al 18 ottobre 2015. Tantissimi i visitatori e tantissime le classi che hanno visitato la mostra, che ha coinvolto e meravigliato bambine e bambini di tutte le età. Anche se in parziale parata, le opere di Cesare Zavattini si sono offerte a ulteriore conferma della grande ed accogliente apertura di un uomo che ha saputo coniugare l’amore per il cinema con l’amore, sia soggettivo che oggettivo, per la pittura, facendone assieme alla scrittura i pilastri di un’esistenza che è per molti aspetti una lezione per chiunque voglia “fare cultura”.

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