Sono arrivato alla convinzione che tutti al fondo della loro coscienza sono naïf, perfino i direttori di banca; ma le persone normali hanno spesso questa naïveté sepolta sotto strati di stereotipi convenzionali, di luoghi comuni, di vecchiumi di diversa tipologia che valgono nell’insieme come rete protettiva in ambito sociale. Occorre un’opera di scavo per disseppellire l’originaria condizione umana, ma non è facile, a volte è impossibile. Sono anche convinto che le narrazioni orali, nel modo suaccennato, superino qualitativamente la creatività letteraria, rendendola superflua e di livello inferiore.
Vite sbobinate e altre vite, Alfredo Gianolio, Quodlibet, 2013
★ ALFREDO GIANOLIO (1927 – 2018)
Gianolio avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 27 maggio ma se n’è andato prima e nel modo più sereno possibile: nel sonno. L’ha trovato senza vita nel suo letto, nella casa di Rivalta, la donna che tutti i giorni svolgeva le faccende domestiche.
Alfredo Gianolio era nato a Suzzara (Mantova) nel 1927, ma reggiano da sempre, a Reggio Emilia ha esercitato la professione di avvocato (quasi sempre dei poveri, e sempre di cause perse in partenza). Si è anche dedicato al giornalismo – nel dopoguerra fu anche il primo responsabile della redazione reggiana del quotidiano l’Unità – e alla ricerca storica pubblicando «libri giornali» (così chiamati perché integravano le ricerche d’archivio con testimonianze orali, fotografie, documenti ecc.).
Ha fatto parte con Cesare Zavattini della giuria del Premio Nazionale delle Arti Naïves. Ha pubblicato diversi racconti sulla rivista «Il Semplice», ed è l’autore del libro d’immagini e testimonianze Pedinando Zavattini (Diabasis, 2004).
“Incoraggiato dall’amico Zavattini, ha incominciato attorno al 1970 a registrare e trascrivere (cioè sbobinare) con amorevole cura i racconti autobiografici dei pittori naïf che vivono lungo il Po. Sono narrazioni orali di vite singolari, che compongono l’affresco di una popolazione secondaria e un po’ storta nata dal Po, forse ora in via di estinzione; una popolazione di pittori senza pretese che non appartengono alla storia dell’arte, ma semmai alla storia delle disgrazie umane. Ha detto una volta Gianolio che questi pittori del Po sono come i fiori cresciuti in serra, che, messi fuori, a contatto con la cultura, si affievoliscono e finiscono per sparire”, si legge nel sito di Quodlibet, che nel 2013 ha ripubblicato Vite sbobinate e altre vite, uscito per la prima volta nel 2002 per i tipi di Libreria Incontri.
Qualche anno fa, la sua storia era stata raccontata dal regista Nicola Nannavecchia nel documentario Il segno e la voce: vita da artista. Un viaggio nelle atmosfere della pianura, della Bassa e del Po, che ripercorreva le storie, le opere e i movimenti culturali dagli anni Cinquanta del Novecento a oggi.
Luzzara, il Centro Culturale Zavattini e Fondazone Un Paese ricordano con affetto questo grande intellettuale e splendida persona che tante volte è stato gradito ospite del paese. Ricordiamo qui, tra le ultime cose fatte insieme, la sua partecipazione all’iniziativa cerretana Sull’acqua che scorre (6 agosto 2016), organizzata dal Centro Culturale Zavattini nel borgo di Cerreto Alpi; il suo intervento alla presentazione del libro La televisione di Zavattini. Attualità di Telesubito del Senatore Alessandro Carri (27 ottobre 2016); la sentita presentazione del libro MÒRS Vita, morsi e miracoli tra Berlino Est e la Pianura Padana di Massimiliano Boschini (3 marzo 2017) al Centro Culturale Zavattini; ed infine la partecipazione alla tavola rotonda per ricordare il 50° anniversario del Premio dei Naïfs di Luzzara (7 ottobre 2017) organizzata da Fondazione Un Paese con la Fondazione Antonio Ligabue a Gualtieri.
Ciao Alfredo, grazie di tutto.
★ GIANOLIO, Zavattini, Luzzara e i naïfs
Aveva ragione Guareschi quando scriveva che “in quella fettaccia di terra tra il fiume e il monte possono succedere cose che da altre parti non succedono. Cose che non stonano mai col paesaggio”, e che “là tira un’aria speciale, che va bene per i vivi e per i morti…”. Come si spiega altrimenti, se non con qualcosa di straordinario e misterioso che si respira da quelle parti, che in quel lembo di terra compreso tra Luzzara, Guastalla e Gualtieri, nella bassa reggiana, nel secondo dopoguerra si sia concentrato quel particolare fenomeno artistico che va sotto il nome di Naïf. Non un’ arte accademica, ma “primitiva”, nata dal Genius Loci degli abitanti del posto, per lo più contadini analfabeti che la sera, dopo la fatica quotidiana, prendevano colori e pennello e si mettevano a dipingere figure e paesaggi immaginari; e dove anche le donne dipingevano, magari dopo aver terminato di fare la “sfoglia”: “Quello era un territorio abbandonato, quasi evitato per la paura degli insetti e della nebbia, era una terra selvaggia, non frequentata da nessuno – è l’interessante spiegazione di Alfredo Gianolio, – per questa ragione è rimasto un terreno vergine, dove chi nasceva da quelle parti era libero, non vittima di conformismi di alcun genere. Cosa molto diversa da quello che è capitato, per esempio, a Ferrara, dove gli Estensi avevano occupato le spiagge e le isole del Po, su cui avevano costruito le loro Delizie, e dove la Cultura ufficiale si era impadronita del territorio, allontanando le espressioni culturali più originali e tipiche degli abitanti di quei luoghi che, altrimenti, si sarebbero potute esprimere spontaneamente”.
(…) Il suo incontro con la cultura naïfs risale agli anni cinquanta, quando teneva un recapito settimanale, come avvocato, alla Camera del Lavoro di Luzzara. Questo gli ha permesso di conoscere Zavattini e di partecipare alle tante iniziative culturali da lui organizzate.
“Quando ero a Luzzara come collaboratore di Zavattini per il Premio Nazionale dei Naïfs- racconta- pubblicavamo un giornale periodico, il Bollettino dei Naïfs, una cosa molto povera, tirata a ciclostile, di cui Zavattini era direttore, a conferma del fatto che non badava troppo alle formalità. Da allora avevo preso ad andare a trovare alcuni di questi pittori naïf e a registrare i nostri incontri, che poi pubblicavo senza modificare nulla, comprese le sgrammaticature, sul Bollettino. Finita l’esperienza del Bollettino, conobbi Gianni Celati grazie al quale entrai nella redazione del Semplice, un libro- rivista edito da Feltrinelli a metà degli anni ’90, in cui le personalità più importanti erano proprio Celati e Ermanno Cavazzoni. Dato che erano interessati alla cultura orale, vollero che riportassi alcune delle mie interviste ai naïfs”.
Queste interviste, oggi, sono raccolte in quel piccolo capolavoro che è il libro Vite sbobinate e altre vite, edito dalla Quodlibet, in cui sono riportate anche le testimonianze di alcuni tra i grandi nomi del naifismo, come Bruno Rovesti e Pietro Ghizzardi, anche se la più divertente è quella di un certo Tirri, al secolo Renato Zattelli, nato negli anni venti a Santa Vittoria di Gualtieri. Fatto prigioniero dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e deportato nei campi di concentramento in Polonia, ebbe salva la vita perché i tedeschi scoprirono che era un bravissimo cantante e finì per cantare alle feste di tutte le famiglie tedesche della Breslavia. “Tirri cantava benissimo la canzone “Mamma son tanto felice”- racconta Gianolio – ed è incredibile pensare a come i nazisti, che uccidevano con tanta facilità, poi si commuovessero per la canzone “Mamma”. Questa è stata la sua salvezza, perché grazie a questo suo talento nel canto, ebbe un trattamento di favore”.
Altra storia interessante è quella di Albino Menozzi, originario, insieme a Ligabue e a Rovesti, di Gualtieri, il paese in riva al Po nel quale, chissà per quale strano capriccio del destino, si è concentrato il maggior numero di pittori naïfs. Menozzi, che dipingeva soprattutto soggetti femminili perché, come diceva lui stesso “io amo molto le donne, perciò nella pittura mi do specialmente alle donne”, era, però, pressoché ignorato nel suo paese, mentre riceveva spesso visite di tedeschi che venivano dalla Germania per acquistare i suoi quadri.
“I naïfs erano molto più apprezzati dai tedeschi che dagli italiani – commenta Gianolio. Ci sono naìfs che in Germania valgono molto, mentre qua sono quasi sconosciuti. Credo che questo sia dovuto ad una diversa tradizione culturale: i tedeschi hanno una tradizione che si ispira al romanticismo, che valorizzava gli istinti, gli stati d’animo dell’uomo, la natura, cosa che li avvicina molto ai naïfs. La nostra cultura, invece, risente più dell’influsso del classicismo. Nel complesso possiamo dire che i naïfs, in area padana, sono sì stati accettati, ma come se fossero stati imposti”.
Del resto, come si dice,“Nemo propheta in patria”, un discorso valido anche per Zavattini, che dei pittori naif è stato l’alto patrono, avendo istituito il Premio Nazionale dei Naïfs, che veniva assegnato a Luzzara ogni anno, alla mezzanotte del 31 dicembre. “Zavattini, i primi tempi, non era ben visto a Luzzara, era considerato una specie di “figliol prodigo”, perché se n’era andato dal paese con l’illusione di far fortuna al di fuori dei mezzi consueti, cioè la vendita del formaggio grana e dei maiali – racconta Gianolio. A causa di questa sua pretesa di diventar qualcuno con la letteratura e il cinema, i suoi compaesani lo chiamavano al matt”.
Per vincere quest’avversione nei suoi confronti, Zavattini si inventò una serie di iniziative culturali, come il concorso Luzzara che ride, che premiava la migliore storiella di paese. Nella commissione giudicante erano presenti alcuni grossi nomi della cultura dell’epoca, come Orio Vergani, Gaetano Afeltra e Giancarlo Fusco e le migliori storielle furono lette, il 10 ottobre 1956, da Alberto Sordi nel Cinema Gardinazzi gremito di gente. O come Luzzara, un paese vuole conoscersi , in cui gli abitanti avrebbero dovuto recuperare vecchie foto, documenti, contratti, ecc., per ricostruire la storia sociale ed economica del loro paese. Ma a Zavattini non riuscì di realizzare questo suo progetto a Luzzara e fu costretto a spostarlo a S. Alberto di Romagna. “Anche per l’istituzione del Premio Nazionale dei Naïfs ci furono delle difficoltà – continua Gianolio; – non tutti erano d’accordo, per una certa sbagliata concretezza degli abitanti, che dicevano che con i soldi stanziati per il premio si potevano fare venti metri di fognature”.
Altro tratto comune del grande artista luzzarese con la cultura naïf era il suo essere visceralmente anti accademico: “Zavattini non era investito dalle correnti culturali più importanti del tempo, non agiva seguendo le mode letterarie, ma soltanto la propria capacità inventiva- commenta Gianolio. E’ stato uno dei primi scrittori d’avanguardia, che aveva lacerato quelli che erano i tessuti narrativi dell’epoca; però, allo stesso tempo, c’era una barriera che lo separava dalle altre avanguardie. Per esempio non andava d’accordo con quelli del “Gruppo ’63”, proprio perché questi erano degli accademici”.
Del naïfismo oggi, secondo Gianolio, non è rimasto un granché: “Dopo il boom, tanti hanno fatto i naïfs, anche soltanto per ragioni economiche, ma questa cultura sta via via scomparendo, anche perché sono cambiati i luoghi stessi”. Però chissà, magari in un qualche casolare perso nella campagna, o in qualche catapecchia sulle rive del Fiume, c’è ancora qualcuno che prende in mano colori e pennello e dipinge tigri o paesaggi fantastici solo per il gusto di dare libero sfogo alla propria vena artistica. Cose che possono succedere in quella fettaccia di terra tra il fiume e il monte, dove tira un’aria speciale, che va bene per i vivi e per i morti.
tratto da Le vite sbobinate di Gianolio, tra i naïf e Zavattini, L’Eco del Po, 12 giugno 2016 fotografia tratta dal docufilm Il segno e la voce: vita da artista di Nicola Nannavecchia
CENTRO CULTURALE ZAVATTINI
[ non si è mai soli a credere nelle cose vere ]