DENTRO UN TEMPO SOSPESO, IMMAGINANDO IL FUTURO
Una struttura nata nell’Ottocento e poi, già dal secondo dopoguerra, reimpiegata come laboratorio, magazzino, garage e poi ancora deposito.
Anni di chiusura e di silenzio, di oblio.
Il Teatro Sociale di Luzzara dopo 70 anni è tornato a nuova vita grazie a un’idea nata qui vicino, il “cantiere aperto” dell’Associazione Teatro Sociale Gualtieri (vedi qui), un’esperienza di riferimento per il recupero collettivo di un bene comune: esempio ripreso da Fondazione Un Paese che ha coordinato l’impegno di un gruppo di volontari luzzaresi, subito sostenuti dall’Amministrazione comunale che ha creduto fortemente nel progetto di recupero.
Nel maggio 2013 la prima “apertura al pubblico”, una giornata, per mostrarsi dopo i lavori di pulizia e riordino, come a dirci, semplicemente, “Sono qui, da due secoli, non sono un magazzino ma un Teatro, ora mi vedete?”; poi una serie di eventi e piccole ma significative iniziative alternate ad altri lavori, fino ad un importante progetto di ristrutturazione che in cinque anni lo hanno messo in sicurezza e portato ad un’agibilità di 99 posti.
Nel 2018 la vera riapertura, con una rassegna inaugurale di tre eventi (ottobre 2018), e finalmente la prima stagione (marzo/novembre 2019) quasi sempre registrando il tutto esaurito. Quasi 30 gli eventi realizzati, un anno segnato anche dalla importante collaborazione con il vicino Teatro Sociale di Gualtieri che ha curato la direzione artistica della seconda parte della stagione.
Il 2020 si apriva con i migliori auspici. Una programmazione già pronta che avrebbe dovuto iniziare il 1 marzo, con la restituzione dei percorsi laboratoriali Piccolo trattato sull’immensità del mondo, rivolti ai ragazzi e alle ragazze dell’Istituto Comprensivo di Luzzara. Una stagione che proponeva altri 30 appuntamenti da qui a novembre.
Ora tutto si è fermato, non solo le attività previste in Teatro e nel Centro Culturale Zavattini, ma tutto intorno a noi. Ci stavamo quasi convincendo che nulla potesse cambiare, ma nel giro di poche settimane la nostra vita è stata sconvolta come forse non accadeva dalla seconda guerra mondiale.
Ciò che eravamo abituati a fare ora non lo facciamo più, non possiamo più farlo. Tra recinzioni domestiche e tanto tempo libero stiamo abitando una dimensione diversa, che molto probabilmente ci segnerà a lungo. Non sappiamo tra quanto ne usciremo ma sicuramente resterà la consapevolezza di tutto ciò che è accaduto, che abbiamo attraversato. E già sentiamo che le nostre abituali categorie, quelle in cui ci muovevamo fino a un mese fa, non sono le uniche possibili.
Tanti gli spunti, le riflessioni, gli articoli usciti in questo periodo. Ne riprendiamo qui uno, che parte da questa frase: “Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”, questa la sovversione culturale alla quale oggi non dobbiamo rinunciare e di cui non temere, scrive Paolo Pileri su Avvenire, una vera e propria guerra per cambiare rotta (qui l’articolo completo).
Parole che, in questo stato di isolamento individuale, fanno pensare a quelle scritte da Cesare Zavattini nel 1946, all’indomani della fine della guerra, e affidate alle pagine del suo diario: “Approfittiamo del nostro stupore e della nostra solitudine, gli aggettivi sono tutti crollati intorno a noi come croste. Se restasse ancora un ponte alle nostre spalle, tagliamolo, per impedirci la fuga da ciò che siamo”.
Questa quarantena prorogata e diffusa che sta annullando ogni contatto sociale, ogni incontro, ogni dialogo reale, ha annientato lo spazio pubblico: le strade e le piazze vuote, oltre che responsabile risposta alle direttive governative, sono anche simbolico avvertimento di un compito che ci aspetta.
Centri culturali, biblioteche, teatri, la cultura in una parola, dovranno necessariamente ripensarsi, perché aldilà degli enormi problemi economici, organizzativi, occupazionali, gestionali che ci saranno, sarà fondamentale iniziare a organizzare il futuro. E toccherà in primo luogo proprio alla cultura immaginarlo. Per questo stiamo riprogrammando tutto, con pazienza, perché siamo certi che luoghi come il Centro Culturale e il Teatro avranno più importanza che mai.
Sarà necessario immaginare un futuro che ritrovi la piazza, capace di ricostruire una comunità – quella vera, non virtuale – di riportare in primo piano quelle libertà mortificate dallo stato d’emergenza. Un futuro che ritrovi un rinnovato confronto con l’altro, il lavoro collettivo come momento di crescita e di trasmissione di altre e più totali esperienze. Prepariamoci sin d’ora, non sarà compito facile.
Il pensiero zavattiniano, enorme testa pensante, sembra averci lasciato in eredità un esplicito invito ad affrettare i tempi di una miracolosa – e perciò ineludibile – venuta di ciò che Zavattini, con la speranza di una nuova comunità solidale, immaginava come “una cultura per dare i mezzi a tutti di essere tutti, pur essendo ciascuno”. Vi pare poco?
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Non appena possibile vi aggiorneremo sulla nuova programmazione, per ora serve attendere ancora.
Portate pazienza, sarà bellissimo ritrovarsi.
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fotografia: Lorenzo Davoli, Orologio del Teatro Sociale di Luzzara (particolare), Graflex Crown 4×5, 2018
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