libri del mese


Desiderosi di conoscere le ultime novità librarie presenti in biblioteca? Indecisi su quale lettura intraprendere? Curiosi di scoprire nuovi volumi o di ricevere consigli per le letture dei vostri bambini? Ecco le proposte e i possibili percorsi tematici di questo mese!

dicembre 2017 

 

NOVITÀ in biblioteca

Neil MacGregor
Il mondo inquieto di Shakespeare | Adelphi, 2017

Hiroshi Sugimoto
Le notti bianche | Skira, 2017

Ingeborg Bachmann
Il trentesimo anno | Adelphi, 2017

Giunto al suo trentesimo anno, il protagonista del racconto che dà il titolo a questo libro avverte che sta entrando in una zona della vita dove i nomi si scollano dalle cose, le cose vagano sospese, la spinta a muoversi si arresta per un lungo momento. «E la mattina di un giorno che poi scorderà si sveglia e, tutt’a un tratto, rimane lì steso senza riuscire ad alzarsi, colpito dai raggi di una luce crudele e sprovvisto di ogni arma e di ogni coraggio per affrontare il nuovo giorno». Qualcosa di simile è sottinteso nella nascita di questo libro: dopo aver sbalordito con la precoce perfezione e felicità delle sue liriche, Ingeborg Bachmann sembrò ritrarsi, dopo i trent’anni, in un suo nuovo regno della prosa, che qui si manifesta per la prima volta (1961). Ed è un mondo doloroso, ambiguo, investito da onde di delirio. Ma soprattutto è un mondo dove nulla viene lasciato nella cornice dei suoi significati prestabiliti.

Picasso Primitivo
a cura di Yves Le Fur | Electa, 2017

Picasso primitivo, pubblicato in occasione dell’omonima mostra tenutasi presso Musée du Quai Branly di Parigi (28 marzo- 23 luglio 2017) illustra come Picasso e gli artisti non occidentali si siano incontrati nell’espressione di arcaismi universali, come abbiano esplorato il potere delle immagini e le forze dell’inconscio. E’ ben nota l’importanza che l’arte cosiddetta “primitiva” – arte tradizionale dell’Africa e dell’Oceania – ha avuto per Picasso. Senza quella fondamentale fonte d’ispirazione esisterebbero les Demoiselles d’Avignon? E sarebbe nato il cubismo, il movimento più pregnante delle avanguardie del primo Novecento, che scardinò le regolecodificate della rappresentazione artistica? Il rapporto tra Picasso e le arti dell’Africa e dell’Oceania risale al 1907, quando egli acquista la prima opera della sua collezione, un Tiki delle isole Marchesi. In quell’anno Picasso visita per la prima volta il museo etnografico del Trocadéro. Ne rimane colpito al punto da rimettere mano a Les Demoiselles d’Avignon e finire il quadro che rivoluzionerà la pittura del Novecento.

Isaac Bashevis Singer
Keyla la Rossa | Adelphi, 2017

«Capitava di rado che una femmina già passata per tre bordelli si sposasse … Era un segno del cielo inviato a tutte le puttane di Varsavia: non dovevano perdere la speranza, l’amore avrebbe continuato a governare il mondo». Ed è proprio l’amore la sostanza incandescente di questo romanzo: l’amore-passione, quello che non lascia scampo, quello che può indurre alla follia. A Keyla la Rossa nessuno resiste: né Yarme – un seducente avanzo di galera –, né il giovane e fervido Bunem – che pure era destinato a diventare rabbino come suo padre –, né l’ambiguo Max. Se questo magnifico libro è rimasto praticamente inedito fino a oggi, è forse perché Singer esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori goy il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico. In Keyla la Rossa si parla infatti in modo esplicito di due argomenti tabù: la tratta, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell’Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica, e l’ignominia di un ebreo che va a letto sia con donne che con uomini. Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti (e dei numerosi, pittoreschi comprimari) fa da sfondo, all’inizio, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante del ghetto in cui era confinata, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia, e poi quella, non meno miserabile e caotica, delle strade di New York in cui si ammassavano gli emigrati nei primi decenni del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.

Joseph Banks
Florilegium | Einaudi, 2017

Roberto Calasso
L’innominabile attuale | Adelphi, 2017

Turisti, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e agitano “l’innominabile attuale”. Mondo sfuggente come mai prima, che sembra ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni, quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento. Quel che venne dopo era informe, grezzo e strapotente. Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre più potente. Auden intitolò “L’età dell’ansia” un poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote, come se venissero da un’altra valle. L’ansia non manca, ma non prevale. Ciò che prevale è l’inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l’età dell’inconsistenza.

Attilio Bertolucci
Le poesie | Garzanti, 2014

Questo volume documenta l’attività poetica di Attilio Bertolucci anteriore alla “Camera da letto”. Già la prima raccolta, “Sirio”, attesta la nascita di una voce inconfondibile e diversa rispetto ai modi tipici del Novecento italiano: una voce ricca di joie de vivre e di ironia, di colori fantastici e naturali. Ma è con “Fuochi in novembre”, dolce, estrosa e sognante raccolta di pastelli, disegni e invenzioni, che si afferma sulla scena italiana, grazie a un memorabile intervento di Montale, come una delle più autentiche alternative al corso principale della nostra poesia. “Lettere da casa”, frutto eloquente della prima maturità, ma con qualcosa già di vagamente autunnale, esprime un profondo bisogno di raccontare la vita. Nel contemporaneo poemetto “La capanna indiana” la tensione verso la poesia narrativa trova un suo iniziale, riuscito compimento. “In un tempo incerto” raccoglie riflessi del volontario esilio a Roma, tracciando una strada che porterà alla novità tematica e stilistica di “Viaggio d’inverno”, uno dei testi di poesia italiana più folgoranti della seconda metà del Novecento.

Altre novità in biblioteca...

NOVITÀ PER CRESCERE | sezione ragazzi

Nicholas Hubesch – Gnimdewa Atakpama
Non entrate nel sacco! | bambini 3-6 anni 

Un leone e una capra decidono di costruire la propria casa nella stessa valle. Il leone si crede più furbo perché lascia alla capra l’onere di costruirla con l’idea di prenderne poi possesso. Ma quando una capra si arrabbia… i leoni dovrebbero fare molta attenzione!
Un messaggio che è una iniziazione di fiducia per i bimbi che si sentono ‘piccoli piccoli’ e deboli.

Oliver Jeffers
Chi trova un pinguino | bambini 3-6 anni

C’era una volta un bimbo… che un giorno trovò un pinguino davanti alla porta di casa. Il bimbo non aveva proprio idea da dove il pinguino fosse saltato fuori. Ma quello, intanto, si mise a seguirlo ovunque! Una storia incredibile e divertente sull’amicizia, sul diventare grandi, sulla ricerca di se stessi, attraverso gli altri.

Isabel Minhós Martins – Bernardo Carvalho
Di qui non si passa! | bambini 3-6 anni

In questo libro ci sono un generale, una guardia e tanta gente che vuole andare “di là”. Ma andare di là non si può: è vietato attraversare il confine. Non c’è una ragione precisa. Il generale ha deciso così. È un abuso di potere. Da questo semplice e comunissimo fatto, prende il via una storia lieve e ironica con un finale davvero sorprendente. Gli autori di un grande successo, come P di papà, tornano in scena con un libro pieno di colori, di piccole storie di personaggi da seguire per quaranta pagine di allegria e senso civico.

Paola Albini
Cicognino. Il design spiegato ai bambini | bambini 6-10 anni

“Cicognino è un tavolino di legno ma con un’anima e il sogno di essere parte di qualcosa di importante. Senza ancora sapere cosa”.
Un volume per bambini e non solo pensato per ripercorrere, attraverso una delle sue creazioni fondamentali, lo storico tavolino Cicognino, la carriera professionale di un pioniere del design italiano: Franco Albini. Il libro, scritto da Paola Albini e realizzato insieme alla Fondazione Franco Albini, si fa strumento didattico e quaderno interattivo, per avvicinarsi alle creazioni dell’architetto Albini seguendo le tappe del suo percorso professionale e arrivare a capire, sperimentando con esercizi e quesiti, che cosa significa “fare design”.

Altre novità per bambini e ragazzi...

PROPOSTA TEMATICA DEL MESE: A EST DEL DANUBIO. LETTERATURA RUSSA E DINTORNI

Jan Brokken
Bagliori a San Pietroburgo | Iperborea, 2017

«A ogni passo in questa città mi viene in mente un libro o mi risuona in testa una musica. È una scoperta continua.» È il 1975 quando Jan Brokken rimane folgorato da San Pietroburgo, l’allora Leningrado, patria splendente e malinconica di poeti e dissidenti, folli e geni, disperati e amanti, culla della ribellione agli zar e poi al regime sovietico in nome della libertà dell’arte e dello spirito. In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, Brokken ci accompagna nelle sue passeggiate fra presente e passato attraverso strade, teatri, case e musei sulle tracce dei personaggi che hanno reso Pietroburgo una capitale mitica della cultura europea. Un viaggio che parte dalla raffinatissima Anna Achmatova, che sembra quasi personificare l’elegante fierezza di questa città, per proseguire con l’avventura umana e poetica di Dostoevskij, Gogol’, Solženicyn; i radicali Stravinskij e Malevič e i tormentati Čajkovskij e Šostakovič; gli espatriati Brodskij, Rachmaninov e Nabokov e l’inquieto Esenin, il «Rimbaud russo» che conquistò Isadora Duncan; il principe dandy Jusupov, che assassinò Rasputin e fuggì a Parigi con un Rembrandt sottobraccio, e la pianista Marija Judina, che seppur ebrea e dissidente ottenne con la sua musica l’eterno favore di Stalin. In una sinfonia di ricordi, citazioni e frammenti di vita, Brokken compone un ritratto impressionista della città della nostalgia e del confronto tra l’arte e il potere, dove Mandel’štam ebbe a dire: «Solo da noi hanno rispetto per la poesia, visto che uccidono in suo nome.»

Irene Némirovsky
I cani e i lupi | Adelphi, 2008

Le basta vederlo una sola volta, quel bambino ricco, ben vestito, dai riccioli bruni, dai grandi occhi splendenti, che abita nella meravigliosa villa sulla collina e di cui dicono sia un suo lontano cugino, per essere certa che lo amerà per sempre, di un amore assoluto e immedicabile. A Kiev, la famiglia di Ada abita nella città bassa, quella degli ebrei poveri, e suo padre fa parte della congrega dei maklers, gli intermediari, quegli umili e tenaci individui che si guadagnano da vivere comprando e vendendo di tutto, la seta come il carbone, il tè come le barbabietole. Fra le due città sembra non esserci altro rapporto che non sia il disprezzo degli uni e l’invidia degli altri. Eppure, allorché il ragazzino Harry si troverà di fronte la bambina Ada, ne sarà al tempo stesso inorridito e attratto: come «un cagnolino, ben nutrito e curato, che sente nella foresta l’ululato famelico dei lupi, i suoi fratelli selvaggi». Quando molti anni dopo, a Parigi, il destino li metterà di nuovo l’uno di fronte all’altro, Harry non potrà più indietreggiare, e dovrà fare i conti con quella misteriosa attrazione che Ada esercita su di lui. Alla prima edizione di I cani e i lupi l’autrice premetteva un’avvertenza in cui, presentando il romanzo come una vicenda che non poteva essere altro che «una storia di ebrei», ribadiva la propria intenzione di descrivere il popolo a cui apparteneva così com’era, «con i suoi pregi e i suoi difetti»: giacché, affermava orgogliosamente, «in letteratura non ci sono argomenti tabù». Oggi, i numerosissimi lettori che la amano sanno che pochi sono stati in grado di raccontare il mondo degli «ebrei venuti dall’Est, dall’Ucraina o dalla Polonia» con altrettanta verità e altrettanto amore.

Nikolaj Gogol’
Due storie pietroburghesi | Voland, 2012

Nei racconti del ciclo pietroburghese la capitale (che all’ucraino Gogol appare come una città non russa, splendida facciata di un edificio ormai in rovina dove si conduce una vita vuota, esteriore, alienata) si fa al tempo stesso scenario grottesco e sinistro burattinaio di quella “vita vegetativa” verso la quale lo scrittore si sentì sempre attirato, in un duplice atteggiamento di compiacimento partecipe e di beffarda ironia. Come scrive Cesare De Michelis nella prefazione: “ritengo che questi racconti rappresentino il punto più ‘alto’ di quanto ci ha trasmesso il grande scrittore (naturalmente, accanto alle “Anime morte” e al “Revisore”). L’essenzialità del narrato vi diviene condizione per la ricchezza dell’espressività, capace di sublimare l’aneddotica in una complessa visione del mondo in cui il patetico e l’ironico (e talora il tragico e il comico) si fondono in un unicum di grande intensità…”

Vladimir Nabokov
Il dono | Adelphi, 1998

Scritto fra il 1935 e il 1937, ultimo romanzo russo di Nabokov, Il dono è forse anche il primo, e certo il più inesauribile, romanzo russo del Novecento. Al suo centro incontriamo l’iniziazione alla letteratura, all’amore, all’età adulta, di un giovane emigrato russo nella Berlino degli anni Venti, figura in cui sin dall’inizio il lettore sarà tentato di riconoscere una trasposizione di Nabokov stesso. Ma, al tempo stesso, Il dono è il romanzo della letteratura russa, una partitura narrativa dove risuonano, per via di allusioni, deformazioni, ibridazioni, ogni sorta di versi, stilemi, echi di quegli autori che avevano contribuito a comporre la sostanza variegata dello stile nabokoviano; ed è anche la storia della ricerca di un padre, qui il mirabile personaggio dell’esploratore Konstantin Godunov-Cerdyncev, l’uomo che «sapeva due o tre cose che nessun altro sapeva» e socchiudeva gli occhi fissando lo sguardo verso «azzurri paesi». La peculiarità del Dono è dunque innanzitutto quella di comprendere in sé una pluralità di romanzi inscatolati e rispecchiati l’uno nell’altro sino al felice artificio di far sboccare la narrazione sulla scrittura di un libro che è poi il Dono stesso: esempio insuperato di quel libro sul libro e dentro il libro che, come forma di romanzo, avrebbe poi continuato a svilupparsi a tutt’oggi, in quella terra estrema della letteratura dove la parola tenta continuamente di riflettersi in se stessa, quasi applicando alla narrazione quel procedimento che diede origine al teorema di Gödel e continua ad abitare la camera segreta di ogni pensiero.

Israel J. Singer
La famiglia Karnovski | Adelphi, 2015

Bastano a volte poche pagine per accorgersi di avere fra le mani un grande romanzo, e per cogliere quel timbro puro che ne fa un classico. È ciò che accade con La famiglia Karnowski di Israel J. Singer, maestro dimenticato, rimasto per troppo tempo nel cono d’ombra del più celebre fratello minore Isaac B., Premio Nobel per la letteratura. La pubblicazione di questo libro, fra i memorabili del secolo scorso, ha quindi il sapore di un evento, e di un risarcimento: finalmente, il lettore potrà immergersi nel grandioso affresco familiare in cui si snoda, attraverso tre generazioni e tre paesi – Polonia, Germania e America –, la saga dei Karnowski. Che comincia con David, il capostipite, il quale all’alba del Novecento lascia lo shtetl polacco in cui è nato, ai suoi occhi emblema dell’oscurantismo, per dirigersi alla volta di Berlino, forte del suo tedesco impeccabile e ispirato dal principio secondo il quale bisogna «essere ebrei in casa e uomini in strada». Il figlio Georg, divenuto un apprezzato medico e sposato a una gentile, incarnerà il vertice del percorso di integrazione e ascesa sociale dei Karnowski – percorso che imboccherà però la fatale parabola discendente con il nipote: lacerato dal disprezzo di sé, Jegor, capovolgendo il razzismo nazista in cui è cresciuto, porterà alle estreme conseguenze, in una New York straniante e nemica, la contraddizione che innerva l’intera storia familiare. Con una sapiente orchestrazione che è insieme un crescendo e un inabissarsi, Singer non solo ci regala pagine d’inconsueta bellezza ma getta anche uno sguardo chiaroveggente sulla situazione degli ebrei nel­l’Europa dei suoi anni, rivelando quelle virtù profetiche che, quasi loro malgrado, solo i veri scrittori possiedono.

Svetlana Aleksievic
Tempo di seconda mano | Bompiani, 2015

“Per me non è tanto importante che tu scriva quello che ti ho raccontato, ma che andando via ti volti a guardare la mia casetta, e non una ma due volte”. Così si è rivolta a Svetlana Aleksievic, congedandosi da lei sulla soglia della sua chata, una contadina bielorussa. La speranza di avere affidato il racconto della sua vita a qualcuno capace di vero ascolto non poteva essere meglio riposta. Far raccontare a donne e uomini, protagonisti e vittime e carnefici, un dramma corale, quello delle “piccole persone” coinvolte dalla Grande Utopia comunista, che ha squassato la storia dell’URSS-Russia per settant’anni e fino a oggi, è il cuore del lavoro letterario di Svetlana Aleksievic. Questo libro, sullo sfondo del grande dramma collettivo del crollo dell’Unione Sovietica e della tormentosa e problematica nascita di una “nuova Russia”, costituisce il coronamento ideale di un lavoro di trent’anni: qui sono decine i protagonisti-narratori che raccontano cos’è stata l’epocale svolta tuttora in atto: contadini, operai, studenti, intellettuali, dalla semplice militante al generale, all’alto funzionario del Cremlino, al volonteroso carnefice di ieri forse ormai consapevole dei troppi orrori del regime che serviva. Nonché misconosciuti eroi sovietici del tempo di pace e del tempo di guerra, i quali non sanno rassegnarsi al tramonto degli ideali e alle mediocri servitù di un’esistenza che, rispettando solo successo e denaro, esclude i deboli e gli ultimi.

Fedor Dostoevskij
Memorie dal sottosuolo | BUR, 2015

Uscito a puntate, nel 1865, sulla rivista “Epocha” (Epoca), “Ricordi dal sottosuolo”, scritto sotto forma di un monologo-confessione, è uno dei più terribili e impietosi viaggi all’interno della coscienza umana della letteratura europea. Il protagonista è un ipocondriaco che vive ai margini della società, scrutandola (e scrutandosi) con odio e sospetto. È il romanzo della svolta artistica e filosofica dello scrittore russo. Come scrive Pacini nella sua Introduzione, in questo romanzo “Dostoevskij ha individuato e descritto il nemico da combattere: quel sottosuolo che è la quintessenza di ciò che chiude l’uomo nel cerchio dell’odio e della lotta, che lo fa arroccare su se stesso, condannandolo a macerarsi nella solitudine e nella disperazione.

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