Fondo Cesare Zavattini
«Ma certo quegli immensi rotoli sui quali vengono stampate le parole ci fanno subito sentire il desiderio di conoscere i momenti più interessanti, quasi magici, della storia della carta, della sua nascita multiforme. Ma come in biblioteca, come dovunque, non useremo certo dei criteri didattici, da arido documentario, ma ci serviremo intanto di speaker di eccezione, come Montale, come Sibilla Aleramo, come Quasimodo, che dovrebbero far sentire l’incanto di questa nascita della carta sulla quale poi vanno a fissarsi le loro poesie, il meglio di loro stessi, quei libri alcuni dei quali abbiamo rintracciato, tra le mani di un ragazzo, su un vecchio autobus in Calabria, o in un’aula universitaria durante una lezione dell’insegnante, o addirittura all’estero, su un banco di libreria affollata, segno quant’altro mai espressivo, emblematico della nostra vera presenza in terra straniera».
Cesare Zavattini, lettera del 25 settembre 1958 ad Alberto Mondadori
da Una, cento, mille lettere, 1988
Il Fondo Cesare Zavattini di Luzzara è costituito dall’ingente e pregiato patrimonio librario donato dal grande intellettuale italiano al proprio paese d’origine in un arco temporale che parte dagli anni più prolifici e intensi della vita dell’autore (anni ’50 – ’60), fino ad arrivare agli anni che precedono di poco la sua morte. Secondo quanto emerso finora dallo studio dei documenti pervenuti, nel 1986 i volumi elargiti da Zavattini si aggiravano attorno ai 4.800 esemplari e, nonostante la preziosità di numerose edizioni, rappresentavano il cuore del patrimonio librario messo a disposizione dell’utenza della Biblioteca di Luzzara per volontà stessa del generoso donatario. La disamina della corrispondenza con le autorità luzzaresi e in particolare dei verbali comunali delinea la chiara immagine di Zavattini non solo come promotore culturale, ma come vero e proprio fautore e “fondatore” della Biblioteca di Luzzara, che prima del 1967 esisteva solo come embrionale sala di lettura, interna all’edificio comunale, provvista di uno scarsissimo e disorganizzato catalogo bibliografico.
Occorreva una figura dalle ampie vedute culturali come Cesare Zavattini, altruista nella sua strenua volontà di offrire il sapere ai propri concittadini, come sottolineava a più riprese nella splendida intervista raccolta da Lidia Malacarne: «Il paese era culturalmente vuoto, e credo che, se non ci fossi stato io, sarebbe rimasto vuoto ancora (…). Ho avuto il pallino di dire: “Mi occupo di Luzzara…”. Io ho sempre avuto un certo didattismo nei confronti del mio paese, che era anche una rivalsa di uno che per anni era stato maltrattato e persino umiliato, potrei dire. Allora c’è stata questa componente psicologica. Io avrei voluto fare cento cose al mio paese, venti iniziative, poi, di fronte alla realtà, mi sono accorto che era già molto che fossi riuscito ad attuarne alcune. Anche se bisognava andare adagio, io però non ho mai mollato».
All’inaugurazione della Biblioteca luzzarese era presente anche l’amico Mario Soldati, il quale nel volume Lo specchio inclinato, presente nel Fondo e dedicato proprio a Zavattini, ricorda con vivido pathos la giornata: «Sono andato ieri sera, giovedì 21 settembre, a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, sulla riva del Po, per l’inaugurazione della Biblioteca Comunale intitolata a Cesare Zavattini. Invidio Zavattini e quanti, come lui, sono nati in un piccolo centro e vi hanno trascorso l’infanzia e la prima adolescenza, poi miniera indistruttibile e insostituibile della vita, anche quando la vita ne è inconsapevole. Zavattini, da allora, è vissuto a Milano e a Roma; ha girato, e gira, tutto il mondo: ma non si è mai, sostanzialmente, allontanato da Luzzara. Vi è sempre tornato, ogni anno, per qualche settimana o qualche mese: ci scappa appena può. E anche per questo lo invidio. (…) La fedeltà di Zavattini a Luzzara è una cosa sola con la fede che Zavattini ha nella forza spirituale e, diciamo pure, religiosa della cultura: ed è la base stessa della personalità di Zavattini, la sorgente della sua ispirazione artistica e della sua simpatia umana».
Dopo la scomparsa di Zavattini nel 1989, con l’attenuarsi della consapevolezza generale della presenza di un patrimonio così importante, unito alla naturale azione usurante del tempo e della fruizione del pubblico, il corpus librario ha subìto alcune perdite ed è stato ripartito fra i diversi locali della biblioteca.
A partire dal 2006, anno in cui il Comune di Luzzara affida la gestione del servizio bibliotecario a Fondazione Un Paese e predispone una risistemazione dei locali della Biblioteca Comunale, è iniziato un importante lavoro di recupero dei volumi del Fondo, pazientemente portato avanti negli anni e conclusosi con i soddisfacenti risultati presentati nell’ottobre del 2016.
Durante le prime operazioni di riorganizzazione degli spazi e ricollocazione del patrimonio librario vengono individuati circa 1.500 volumi donati da Cesare Zavattini, gran parte dei quali con dedica, autografo e in alcuni casi disegni dei maggiori protagonisti della cultura italiana e internazionale del ‘900 (Calvino, Quasimodo, Fenoglio, Aleramo, Prevert, Eco, Soldati, Bertolucci, Ginzburg, Guerra, Malerba, per citare solo alcuni nomi) nonché chiose e inedite riflessioni d’autore, scritte di proprio pugno dallo stesso Zavattini.
I ritrovamenti iniziano a “sistematizzarsi” all’inizio del 2012, quando un paziente lavoro di individuazione e raggruppamento di volumi porta ad aggiungere altri 700 libri al nucleo iniziale. Ne conseguono la registrazione bibliografica nel catalogo interno della biblioteca (OPAC del Sistema Bibliotecario Reggiano) e la creazione di una prima fondamentale mappatura del patrimonio del Fondo, che in quel momento arriva a contare circa 2.200 volumi, senza tuttavia poter verificare con esattezza l’effettiva completezza della donazione, dovendo necessariamente confrontare quanto raccolto con gli elenchi inviati negli anni da Zavattini al Comune di Luzzara. Il lavoro subisce una temporanea interruzione nel 2012, a causa degli ostacoli generati dal terremoto in Emilia, evento cui consegue l’avvio di un progetto di riorganizzazione degli spazi della Biblioteca Comunale.
L’inaugurazione del nuovo Centro Culturale Zavattini, lo scorso 23 maggio 2015, ha finalmente consentito di assegnare un’adeguata collocazione ai volumi che già da qualche anno erano stati identificati come donazioni zavattiniane, ora nella sala appositamente dedicatagli all’interno del neonato Centro Culturale. Si è aperta così una nuova fase, che dando avvio un progetto di totale recupero e studio del Fondo Cesare Zavattini si propone di ricostruire nel modo più completo e consapevole possibile l’intero corpus di volumi donati da Zavattini.
In questa seconda fase di lavoro (settembre 2015 – marzo 2016) è stato fondamentale recuperare tutte le cartelle contenenti documenti zavattiniani di vario genere, depositati dalle passate gestioni bibliotecarie presso l’Archivio Comunale di Luzzara. Dal riordino e dalla catalogazione di questi documenti, sono emerse lettere inedite scritte da Zavattini per informare il Sindaco, l’Amministrazione Comunale e la Biblioteca circa le periodiche donazioni librarie e gli eventi culturali ad esse connessi (da cui emergono interessanti spunti biografici e nuove letture del rapporto fra Zavattini e il proprio paese), oltre agli elenchi dattiloscritti riportanti i titoli dei volumi mano a mano donati. Si è dunque proceduto con la trascrizione esatta di queste liste bibliografiche, che hanno consentito non solo di ricostruire l’esatta consistenza del patrimonio librario del Fondo Zavattini ma di “scoprire” anche centinaia di volumi mai identificati come parte della donazione. Non poche sono state le difficoltà incontrate nella fase di trascrizione delle liste bibliografiche dattiloscritte, in quanto riportavano spesso dati brulicanti di refusi ed omissioni e altrettanto frequentemente non presentavano la data di redazione, ragione per cui sono state ipotizzate per alcune di esse periodizzazioni basate sull’anno di pubblicazione delle opere in esse contenute.
È proprio nella terza fase di lavoro (aprile 2016 – giugno 2016) che questi libri presenti nelle liste di donazione sono stati definitivamente individuati e recuperati dalle diverse aree del Centro Culturale: Biblioteca, magazzini e dagli uffici del Museo Nazionale delle Arti Naïves per essere inseriti anch’essi nell’area spettante, ossia quella del Fondo. Quest’operazione è stata portata a termine incrociando gli elenchi trascritti con la mappatura del Fondo datata 2012, realizzando così un unico e definitivo inventario del Fondo Cesare Zavattini, unito ad una ricollocazione completa dei volumi donati nella sala ad esso dedicata e alla registrazione dei libri ritrovati nel catalogo interno della biblioteca, consultabile online dal sito del sistema bibliotecario provinciale.
I 3.426 volumi ritrovati contengono dediche, autografi e in alcuni casi disegni dei maggiori protagonisti della cultura italiana e internazionale del Novecento: da Salvatore Quasimodo e Sibilla Aleramo, passando per Attilio Bertolucci e Alberto Bevilacqua, arrivando a Italo Calvino, Beppe Fenoglio e Natalia Ginzburg, fino a Jacques Prevert e Claude Roy o Rafael Alberti, e poi ancora Umberto Eco, Mario Soldati, Tonino Guerra, Luigi Malerba, Gianni Toti, Valentino Bompiani e Alberto Mondadori, per citare solo alcuni nomi, nonché chiose e inedite riflessioni d’autore, scritte di proprio pugno dallo stesso Zavattini. I suddetti pregiati esemplari completano l’immagine di quella che era stata definita da Jenner Meletti, nell’articolo comparso su La Repubblica (11 giugno 2006), “La biblioteca segreta” di Zavattini, composta da lasciti pregiati e primissime edizioni, ossia dai «libri che per lui erano stati importanti» e che «voleva che la sua gente potesse avere la possibilità di leggere (…) quando a Luzzara si faceva ancora la fame e i libri erano un lusso per pochi».
I volumi del Fondo Cesare Zavattini sono oggi conservati nella sala appositamente dedicatagli all’interno del Centro Culturale Zavattini. Essi rappresentano uno dei pilastri del patrimonio artistico che il Comune di Luzzara ha affidato alle cure di Fondazione Un Paese.
Il complesso bibliografico è custodito in 12 armadi e rispetta l’ordine di classificazione Dewey originario (000-980). I primi tre armadi contengono volumi di saggistica filosofica, psicologica, religiosa, di scienze socio-politiche e linguistica, con una minoranza di testi sulle scienze naturali. Una parte del terzo e del quarto armadio sono dedicati alle arti: pittura, scultura, fotografia, cinema, teatro e musica. Una sezione del quarto e del quinto armadio conservano la saggistica letteraria e le opere di letteratura americana, inglese, tedesca, francese e spagnola. Seguono l’armadio sesto e settimo dedicati alla poesia italiana, mentre dall’ottavo al decimo armadio sono presenti opere di narrativa italiana. Parte del decimo armadio custodisce volumi di letteratura sudamericana e russa, mentre gli ultimi due armadi sono dedicati alla sezione storica. Le date di pubblicazione dei volumi conservati sono estremamente eterogenee e abbracciano temporalmente l’intero secolo scorso: partendo da edizioni degli anni ’10 si arriva ai volumi più recenti, risalenti alla fine degli anni ’80 del novecento.
La donazione del Fondo da parte di Cesare Zavattini rappresenta un tassello biografico importante e finora per lo più sconosciuto che aggiunge interesse al poliedrico mosaico rappresentante la figura e la personalità del grande intellettuale del Novecento.
Ricchissima è la serie di volumi riportanti l’autografo dell’autore con dedica a Zavattini. Importante testimonianza del periodo parmense sono ad esempio le numerose dediche di Attilio Bertolucci, «il ragazzo di “Sirio”», che nell’omaggiare Za de La camera da letto riconosce in lui «non soltanto lo scrittore “unico”», ma anche «il poeta “unico”» e di Alberto Bevilacqua, che di Bertolucci fu allievo, il quale dedicando il libro che considera il suo «più caro», Questa specie d’amore, ricorda «quei lontani giorni di Luzzara» in cui egli si avviava «a cominciare» la carriera di scrittore, «giorni in cui dire per la prima volta “Cesare” significava un felice tuffo al cuore».
Legata agli anni giovanili milanesi è invece la lunga e sentita dedica a Za che Carlo Manzoni appone sul volume Gli anni verdi del Bertoldo. Della rivista satirico-umoristica alla quale Manzoni stesso collaborò, Zavattini fu direttore per alcuni anni a partire dal 1935 e proprio ricordando quei tempi, il milanese scrive di proprio pugno: «a Cesare Zavattini, questo modesto ricordo di tempi passati, con gratitudine infinita per avermi incamminato su una strada che non ho mai abbandonato, anche se il mio passo non è da “fuori classe”. Un affettuoso abbraccio. Carlo Manzoni, 1964». Fra gli illustratori della rivista, Zavattini aveva fortemente voluto uno dei suoi ex allievi del periodo parmense: Giovannino Guareschi. Le sue “vedovone” confermarono ben presto l’impronta anticonformista data da Zavattini al settimanale e proprio relativa a Guareschi è la biografia che il giornalista Beppe Gualazzini dedica nel 1981 a Zavattini, scrivendo: «a un maestro, con la stima d’un lontano discepolo».
Spiccano per quantità numerica i volumi riportanti le dediche di personalità che con Zavattini ebbero rapporti di stretta collaborazione e umano attaccamento, basti pensare al grande “descrittore” dell’Italia del dopoguerra e precursore del reportage culturale ed enogastronomico, Mario Soldati, che all’amico “Cesare” dona ad ogni uscita le proprie pubblicazioni, segnalando le pagine che potrebbero suscitare l’interesse di Zavattini, soprattutto quelle che parlano di Luzzara, fino a definirsi affettuosamente il suo vecchio «plurifratturato e scricchiolante» Mario nel Capodanno del 1980.
Importante testimonianza del rapporto di amicizia e vicendevole collaborazione nel ricercare nuove forme espressive è rappresentata dalle dediche dell’avanguardista Gianni Toti, che con Zavattini condivideva la natura visionaria di una poesia «toticipata» e anche «zavattinocipata» finalizzata al «parletariato» e costruita su quella passionalità oratoria che ne L’altra fame lo portava giocosamente a definire se stesso e l’amico compagni di «altre fami», per poi sottolineare la natura di «affamatissimo affamante» di Za.
Altri personaggi vicini all’autore luzzarese sono certamente l’editore e amico di una vita Valentino Bompiani, che con «gratitudine e affetto» dedica Via privata firmandosi «il suo vecchio» Valentino; Alberto Mondadori, legato a Zavattini sin dal lontano 1950, anno in cui uscì il primo numero di Epoca, con la rubrica “Italia domanda” firmata da Za e fortemente voluta dall’editore, il quale sulla prima di copertina di Il conto della vita ricorda appunto «l’amicizia» che lo lega al luzzarese «da più di trent’anni» grazie al tratto in comune di «essere quasi sempre dall’altra parte della barricata – insieme»; Davide Lajolo, “Ulisse”, legato a Zavattini da un sincero legame amicale, tanto da apporre un «evviva mio fratello!» nella dedica interna alla celebre biografia di Beppe Fenoglio del 1978.
Italo Calvino nel 1957, cinque anni prima della collaborazione alla sceneggiatura del film Boccaccio ’70, dona una copia della prima edizione de Il barone rampante firmandosi «il suo affezionatissimo Calvino» e non è il solo della cerchia piemontese-einaudiana. Ecco allora il rarissimo autografo di Beppe Fenoglio apposto sulla prima, sofferta edizione del 1954 de La malora facente parte della collana “I gettoni” diretta da Elio Vittorini o la dedica di Natalia Ginzburg «a Cesare Zavattini, con affetto e stima» presente all’interno della pregiata traduzione de La Signora Bovary di Gustave Flaubert.
Preziose edizioni degli anni ‘30 e ’40 sono conservate nel Fondo, a partire dalla pregiatissima edizione su carta speciale, rilegata in seta rossa, sesto esemplare su trenta delle Poesie di Salvatore Quasimodo. Il volume presenta la dedica scritta a pennino dal poeta: «a Zavattini, con molto affetto il suo Quasimodo. Agosto 1938», oltre ad ulteriore autografo di autenticazione posto al di sotto del numero di serie. In relazione alla figura di Quasimodo occorre inoltre segnalare la dedica a Zavattini apposta all’interno dell’edizione delle Lettere d’amore a Maria Cumani dalla stessa musa ispiratrice del poeta siciliano. Si legge infatti scritto a penna blu: «a Cesare Zavattini nel ricordo di Salvatore “nostro”, con l’amicizia di sempre e un augurio affettuoso», laddove il figlio Alessandro Quasimodo aggiunge a pennarello di colore rosso «con amicizia ed affetto».
Non mancano gli esempi di rare raccolte poetiche dei medesimi anni: l’«amica» Sibilla Aleramo, di cui conserviamo ben cinque volumi autografati che testimoniano l’evolversi del rapporto con Zavattini, nel novembre del 1942 invia alla casa di Via Sant’Angela Merici la copia con ringraziamenti personali della raccolta di articoli Andando e stando, seguita qualche anno dopo dalla dedica «con grato e fraterno cuore» sul volume di Una donna e poi ancora in Luci della mia sera «all’amico geniale e al suo grande cuore», fino agli auguri di «buon anno» scritti il 1° gennaio del 1957 sulla carta di guardia del volume Aiutatemi a dire. Seguono dediche degli anni ’30 delle Canzonette di Ugo Betti, su cui si legge «a Persico»; di Carlo Betocchi e di Renato Gozzano, che autorizza e convalida l’edizione del 1942 de I colloqui del defunto fratello Guido.
Si aggiungano a ciò le dediche degli ermetici e degli epigrammisti gravitanti intorno alla figura dell’intellettuale editore Vanni Scheiwiller fra anni ’50 e ’60. Oltre allo stesso Scheiwiller, si conservano copiose dediche di Libero de Libero («a Cesare che schiaffeggiò Mussolini»), Gaio Fratini («Oh, l’amore in Italia, Zavattini / le figlie iconoclaste di Maria / con la bibbia puntata sui bikini!»), Libero Bigiaretti («a Cesare anche quel che non è di Cesare, ma, modestamente, del suo fedele amico e ammiratore»), Nelo Risi («a Cesare Zavattini, con profonda stima e in ricordo di un nostro recentissimo incontro. Roma, luglio ’58). Appartenenti al periodo degli anni ’60 sono anche i volumi riportanti le dediche di Leonardo Sinisgalli («A Cesare Zavattini, il suo affezionatissimo Leonardo Sinisgalli. Roma, 19 marzo 1961»), Piero Chiara («A Cesare Zavattini, devotamente») e della prima edizione de Il serpente di Luigi Malerba («A Cesare Zavattini, con ammirazione e amicizia. Roma, 18 febbraio 1966 »). Il Fondo conserva inoltre la prima edizione de Il romanzo sperimentale, manifesto letterario del gruppo ’63, dalla cui costola romana, nel 1972, Zavattini fonda insieme a Malerba stesso e ad altri intellettuali la “Cooperativa scrittori”. Questa casa editrice indipendente dà presto alle stampe le opere di Umberto Eco, il quale sulla carta di guardia di Opera aperta scrive al luzzarese: «a Zavattini, in dono per il mio quarantacinquesimo compleanno, a lui sempre più giovane di noi tutti. Umberto, 5.1.77» e di Antonio Porta, che nel medesimo anno dedica la raccolta poetica Quanto ho da dirvi definendo Zavattini «angelico e diabolico poeta, fiammeggiante lettore delle mie poesie».
Spiccano oltre a ciò i numerosi libri con dedica autografati da Tonino Guerra, il quale ad esempio nell’edizione di Lunario del 1956 disegna una caricatura di Za annotando «con infinita simpatia» e più tardi, nel 1978 all’interno de Il polverone dichiara: «Caro Cesare, vorrei tanto essere più bravo di te». Anche Gianni Brera, omaggiando nel 1984 Zavattini di una copia de Il mio vescovo e le animalesse annota ironicamente: «a don Cesare, con la giuliva coscienza del cavedano che s’inchina allo storione; e molto affetto».
Rilevanti al fine di ricostruire gli intensi rapporti fra Zavattini e gli animatori culturali della Bassa reggiana appaiono le dediche di Serafino Prati, del poeta luzzarese Guido Sereni, di Dino Villani e dello scrittore e giornalista Nerino Rossi. All’interno del volume Cuore padano, curato nell’introduzione da Za stesso, Prati scrive: «a Cesare Zavattini, due parole non sono il tutto del mio sentimento per la tua esuberante fonte di scrittore, di edificatore di arte di nuova, libera, palpitante società giusta. Il mio ringraziamento non è convenzionale, non si arrampica sulla cima della fantasia per toccare il “nulla”. Esso è lo specchio ideale del Cuore, padano come il tuo, che batte ritmicamente sul quadrante della lotta di ogni giorno perché luce di verità possa entrare nella mente del popolo, che lavora e vive per vivere in pace e con sè, il suo prossimo. Tuo S. Prati». Il sindaco di Gualtieri dedica al luzzarese anche altri libri raccolti nel Fondo, come Quei… giorni («Un “quaderno” di vita vissuta, un palpito di verità come è per quel che è. Omaggio all’amico Zavattini»), la monografia Antonio Ligabue («Al padano Cesare, il cui padanio sentimento, letterario e umano, dei padani abitanti riceve l’ammirazione»), fino ad arrivare a Monologo in golena («A Cesare Zavattini, un monologo di cui la golena assorbe dell’ospite gli ideali, li posa sul limo appena essiccato perché altri ospiti ne raccolgano i frutti. Questo omaggio viene offerto col cuore, a colui che dai colli non più imperiali cammina col piede del pensiero e lo spirito democratico sulla zolla della valle padana, dal Po sovente rinfrescata») e al volume sulla cantastorie Giovanna Daffini («Di una vita una storia umana di cui ti faccio omaggio. Nella amicizia e per l’amicizia Zavattini»).
Guido Sereni, il poeta “barbiere” luzzarese, omaggia «con affetto» l’amico Cesare della copia di Via Alzaia, mentre Dino Villani dona tre volumi a Zavattini e in Ritorno sul Po scrive: «all’amico carissimo Cesare Z. rivale in… amore per il Po e fratello nei sentimenti che ci legano alla nostra terra, Dino. Milano, gennaio ‘64». Anche Nerino Rossi si focalizza sull’essenza intrinsecamente “emiliana” che lo accomuna a Zavattini e amichevolmente scrive all’interno del romanzo Melanzio: «A Cesare Zavattini, con gratitudine contadina ed esprimendo un solo desiderio: brindare con il lambrusco anche a questo secondo nato». Questo volume suscita particolare interesse in Zavattini, probabilmente perché ne deve redigere una recensione; lo dimostra l’abbondante presenza di commenti e appunti che egli appone all’interno e sul dorso del volume. Si legge ad esempio: «la mia Emilia va verso il nord, la sua verso il sud», oppure «so che è già alla seconda edizione, Nerino forse ha scoperto la sua vocazione di scrittore, di narratore, tardi ma per questo forse invece di annaspare ha trovato subito il suo mondo, e i suoi contadini, la sua terra, il suo tipo di civiltà, i suoi eroi popolari e cattolici. E continuerà».
Ulteriori ampi nuclei librari con dediche rilevanti sono costituiti dal settore di letteratura francese, letteratura spagnola e sudamericana, cinema e ambito politico-giornalistico. Di questi ultimi si parlerà più ampiamente nella parte dedicata alle chiose zavattiniane, basti per il momento segnalare i nomi di Enzo Biagi e Sergio Zavoli insieme alle dediche di personaggi del calibro di Pietro Ingrao, il quale il 25 maggio 1977 annota nel saggio Masse e potere: «Al carissimo amico Cesare, dicendogli francamente che sarei molto contento se qualche pagina di questo libro gli piacesse un poco – e se no pregandolo che perdoni alla buona volontà», nonché di Giorgio Amendola, con il suo «primo esame critico del trentennio repubblicano» datato 29 dicembre 1976.
L’esemplare più prezioso del settore in lingua francese è certamente la raccolta poetica di Jacques Prevert intitolata Storie e altre storie, edita da Feltrinelli nel 1965. Il volume reca due disegni astratti a tecnica mista attribuibili al poeta Jacques Prevert: il primo, sul foglio di guardia, è aderente agli stilemi di gusto Picassiano e accompagna la dedica «all’amico Cesare Zavattini, buon anno 1966»; il secondo, sul frontespizio del libro, è aderente agli stilemi del pittore Miró.
A questo si aggiungono dediche di Paul Guth sull’edizione del suo romanzo Saint Naïf («Pour M. Zavattini, dont j’admire le talent de grand ecrivain, et qui, en collaboration avec Vittorio De Sica, a donné tant de chefs d’oeuvre au cinéma. Avec tout le fidèle dévouement du Naïf et de Guth. Paris, le 1 octobre 1965») e ancor prima di Armand Monjo sull’edizione francese di Un amour poursuivi («Pour Cesare Zavattini, poète de la réalité, ce choix de poèmes placés sous le signe d’un unique amour longtemps poursuivi. Avec l’amitié de Armand Monjo. Paris, 6 novembre 1955»), nonché di Claude Roy, l’anno prima della sua collaborazione con Paul Strand per i testi de La France de profil, sulla raccolta poetica Le poète mineur («à Cesare Zavattini, poète majeur de la bonté et de l’humanité avec l’admiration et la sympathie du poète mineur Claude Roy. Roma, 26 mai 1951»).
Il settore dedicato alla letteratura in lingua spagnola si impreziosisce grazie alle dediche di Rafael Alberti, il quale nel 1965, prima di inviare all’«amigo» Zavattini l’edizione Mondadori de Poeta en la calle – Il poeta nella strada, disegna una grande colomba a inchiostro rosso; o di Luis Amado Blanco, nato nelle Asturie ma trapiantato a Cuba come giornalista, primo ambasciatore del governo rivoluzionario di Castro in Portogallo, noto per il romanzo Ciudad Rebelde, sul cui frontespizio scrive di conoscere di Zavattini la «formula magica del la eterna juventud». Italiano emigrato in Argentina, Attilio Dabini nel 1958 stende un lungo messaggio rammaricato all’interno de El toro de Tusco: «Caro Zavattini, mi dispiace d’essere arrivato troppo tardi, avevo un gran desiderio di vederti e di darti un abbraccio – e di darlo all’Italia per tuo mezzo. È successo che il treno suburbano dal quale dipendo per spostarmi in questa smisurata – e alquanto diluita – città, era in ritardo. Ti prego di accettare come un cordiale ricordo questo libro. E poiché non posso avere il piacere di vederti a Buenos Aires, spero di aver la fortuna di vederti a Roma qualche volta. Tuo Dabini», mentre in La sala de espera Eduardo Mallea rimarca a Za l’«alegria de haberla encontrado de nuevo» dopo ventisette anni di amicizia e affetto.
Numerosi sono anche i testi messicani, fra questi spiccano le dediche di Jorge Garcia Granados, che con un pennino intinto nell’inchiostro nero dona nel 1942 all’«estimado amigo» una copia di Los veneros del diablo oppure di Juan de la Cabada, fino ad arrivare alla deliziosa caricatura di “Za – Totò” su di una scopa volante intento a inseguire una colomba in cielo che Jose de La Colina disegna sul frontespizio dei suoi Cuentos para vencer a la muerte, aggiungendo: «Para don Cesare Zavattini, gran maestro y amigo, con un abrazo de Jose de La Colina, 1955». Imprescindibili risultano inoltre essere anche alcune rare edizioni testimoni dei soggiorni cubani di Zavattini: da La conga con Fidel del “comunista romantico” Nazim Hikmet a La guerra de guerrillas por Che Guevara, libro-guida della rivoluzione, pubblicato a L’Avana nel 1960 dal neonato Ministero dell’Istruzione, per arrivare agli anni della “stabilizzazione” con El primer partido socialista cubano del 1962, vera e propria storia del «proletariado en Cuba».
Anche il settore del Fondo dedicato al cinema è sostanzioso e conserva esemplari notevoli. Basti osservare volumi come Petit Cinéma Sentimental o Cinema dell’arte di Nino Frank, il quale sul frontespizio del primo testo, datato 1950, scrive: «A Cesare Zavattini, che mi permetterà di chiamarlo vecchio amico, sebbene questa vecchia amicizia sia solo uno scherzo della memoria, – ma noi sappiamo che gli scherzi sono la sola cosa seria che sia al mondo», per poi affermare nel libro dell’anno successivo: «A Cesare Zavattini, di cui non ho ancora letto o visto nulla che non mi piacesse. Con l’affetto di Nino Frank»; si pensi a Luigi Chiarini, che nel ’54 omaggia Zavattini, «cui tanto deve il cinema italiano» di una copia de Il film nella battaglia delle idee oppure al doppiatore Francesco Luseri, il quale nel maggio 1971 all’interno de Il volto e la voce annota: «Dal sottotenente al generale, ogni qualifica rappresenta un grado in più rispetto a quella precedente – ma tra i generali e il Maresciallo (poniamo di Francia) ci sono… mille gradi di differenza. A Cesare Zavattini, Maresciallo nella milizia dell’Arte, rende omaggio Francesco Luseri».
Aprendo il libro di spartiti per solfeggio del compositore uruguayano Luis Campodónico si trova stilato: «A Cesare Zavattini, con l’ammirazione sincera di chi è oggi lieto di conoscerlo personalmente – e con la ridicola speranza di potere, un giorno, fare la musica di un suo film. Parigi, 16.2.1965», mentre l’amico Giacomo Gambetti dona nel 1964 i volumi dedicati alla sceneggiatura di Sedotta e abbandonata di Germi («a Cesare Zavattini, che mi onora della sua stima e della sua amicizia, con tutta la mia considerazione e con affetto, agli inizi del nostro lavoro») e de Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini dove completa la dicitura “il volume è redatto da Giacomo Gambetti” con l’aggiunta di «il quale lo offre umilmente ma con vivissima e affettuosa amicizia, a Cesare Zavattini, a Roma, il 21 ottobre 1964». Ancora nell’agosto 1982 Gambetti regala all’amico «per le ferie (!) con molto affetto» la monografia su Vittorio Gassman appena pubblicata. E così negli anni si susseguono dediche di Mario Verdone, Giulio Cesare Castello, Giovanni Vento, Pio Baldelli, Giovanni Grazzini e molti altri critici cinematografici, fra cui lo spagnolo Villegas Lopez con la sua monografia su Chaplin dedicata al «genial creador del neo-realismo» e il saggio autobiografico dell’attore e sceneggiatore sovietico Grigori Alexandrov, collaboratore per dieci anni di Sergej Ėjzenštejn.
Non di meno in campo artistico si segnalano dediche di pregio: da Alberto Savinio, che nel 1946 dona a Za il volumetto da tasca di Tutta la vita, a Giovanni Scheiwiller, editore bibliofilo e raffinatissimo critico d’arte, che nel 1964 omaggia Zavattini dei suoi scritti d’arte in edizione “Pesce d’oro” dal titolo Segnalazioni, per arrivare all’avanguardista milanese Vincenzo Agnetti, col suo Machiavelli 30, sul quale leggiamo: «Roma, 23/3/78 Caro Cesare, ti ringrazio di tutto. In ultima analisi queste “poesie” sono gli schizzi del mio lavoro, sono pertanto il lavoro quando quest’ultimo è uno schizzo. Ti abbraccio, tuo Vincenzo».
Si segnala inoltre la dedica apposta dal pittore Pietro Ghizzardi su un foglio allegato all’edizione Einaudi del 1976 di Mi richordo anchora: «Caro Cesare, in mè o Provvata tanta chonsollazzione deli avermi lletta sul mio libro lla ssua ortoghrafficha Presentassionne che di cholpoddi gioia mi erro ddato e rridato alla ddisperrassione» e le numerose dediche del pittore Sergio Terzi, in arte Nerone, il quale all’interno della propria autobiografia, intitolata Non è stato facile. Vita di un pittore Naïf, scrive: «Gualtieri, 16.3.’78 all’amico e grande Cesare. Sono contento di quello che ai scritto a Laiolo (Ulisse). Con poche parole ai dato immagine vera e completa del mio libro e della nostra Bella Padania. Spero di vederti presto. Tuo Nerone».
Le chiose zavattiniane presenti sui volumi conservati nel Fondo sono specchio dell’instancabile attività intellettuale dell’autore e del suo vivere la scrittura con un’urgenza comunicativa che nel farsi monologante assume i tratti di vera e propria confessione. Con la sua grafia fine, tendente ad inclinarsi verso destra, a sovrapporsi e ad aggrovigliarsi su se stessa nel susseguirsi esuberante di cancellature e riscritture, vergata a seconda delle circostanze con il pennarello nero a punta sottile alternato a quello rosso, alla matita, ai pastelli di vari colori, raramente alla penna a sfera, Zavattini non perde l’occasione di annotare riflessioni, curiosità, appunti fulminei, scatti fantasiosi, ammissioni o anche semplici liste di parole, di nominativi uniti a recapiti telefonici. Lo fa ovunque: sul fronte e sul retro delle copertine, sui frontespizi, a margine del testo stampato, in interlinea e molto spesso sottolinea, depenna con tratto deciso, alterna interrogativi ad esclamazioni testimoni di una spiazzante onestà.
La ricchezza dei temi e la molteplicità delle sfumature emotive di queste chiose d’autore sono estremamente varie: si passa dall’entusiasmo creativo nell’abbozzare progetti di sceneggiatura, come sul volume de I figli di Sanchez di Oscar Lewis («Attenzione a: pianti, schiaffi, ubriachezza, lamenti, nascite, morti, sogni, amori, parole, gelosie, superstizioni, pregiudizi, violenza»), alla polemica ideologica corrosiva nel volume di Giuseppe Prezzolini Sul fascismo («Come De Felice, Prezzolini crede di fare solo analisi mentre legittima un sistema. Sia lui che De Felice non hanno niente di radicalmente opposto da dire al Fascismo, a Mussolini»), o agli spunti visionari appuntati all’interno del saggio scientifico L’universo e Einstein («Perché non dirlo che tirate le somme non abbiamo fantasia e da secoli si aspetta che ce la dia l’universo o la filosofia»), passando per la riflessione politico-sociologica abbozzata sull’antologia Il pensiero politico («Quando non è possibile trasferire nell’accidentale l’assoluto, significa che siamo ancora lontani dalla storia come inizio di una creatività cui partecipiamo tutti») o su volumi di inchiesta giornalistica, come il saggio di Giorgio Bocca su Il caso 7 aprile. Toni Negri e la grande inquisizione («La violenza? Vedremo, ma è sempre un lavoro elitario! Alla larga! La massa è parola vuota se non la si organizza a essere se stessa, cioè non più massa. La massa è solo un punto di passaggio. La violenza non è pietisticamente esclusa a priori. È da lavorare altrove e poi vedere che ne discende»), fino ad arrivare a riflessioni su L’indice del realismo («Il cinema si è assunto una specie di fondamentale traduzione del racconto non cinematografico, cioè o a livello letterario – basso o alto – ma troppo raramente in una sua propria autonomia dialettica dell’immagine e del mezzo nella sua naturale offerta linguistica – sintattica») e ai nomi di Strand ed Einaudi, uniti a quelli di Picasso e Berengo Gardin appuntati sul retro della copertina di un libro sulla vita degli operai italiani.
È sulla carta dei propri libri che Zavattini riversa questa incessante esigenza di tensione riflessiva. È per questo motivo che i volumi del Fondo si riscoprono oggi essere fondamentali veicoli per la comprensione del percorso intellettuale di Zavattini, testimoni della elaborazione di progetti, irrinunciabili fonti per la conoscenza di un autore che ha maturato le proprie scelte trasferendone l’urgenza espressiva su oggetti fisici come i libri.